Indirizzi Ip, l’Ue tende la mano alle major

Una sentenza della Corte di Giustizia Europea stabilisce che nulla vieta ai singoli paesi della comunità di definire norme volte a obbligare i service provider a rendere noti i nomi di chi effettua il P2p

In tema di P2p, da un po’ di tempo a livello europeo regna parecchia confusione circa gli aspetti legali inerenti gli indirizzi Ip. Sembra evidente che non si sappia quale via seguire ma anche che non si voglia scontentare né i service provider, per i quali rivelare i nomi che stanno dietro tali indirizzi vorrebbe dire tradire i propri utenti (con le conseguenze che è facile immaginare), ma nemmeno scontentare le major della musica, che spingono affinché la loro battaglia contro la pirateria possa finalmente colpire nominalmente chi scambia i file online.


Qualche giorno fa arriva la notizia di una proposta a livello di parlamento europeo per considerare gli indirizzi Ip come un dato personale, alla stregua di un numero telefonico, e quindi soggetti alle normative che regolano questo tipo di informazioni. Oggi invece la situazione sembra essersi totalmente ribaltata. Una sentenza della Corte di Giustizia Europea stabilisce infatti che l’Unione Europea lascia ai singoli Paesi decidere come comportarsi nei confronti degli indirizzi Ip. Tale sentenza specifica inoltre che non esiste alcun impedimento al fatto che ogni nazione si doti di normative volte a obbligare i service provider a rendere noti i nomi degli utenti che compiono azioni illegali su Internet.


In pratica, viene lasciata totale libertà ai singoli paesi di decidere in merito al comportamento da tenere nei confronti del rapporto pirateria/privacy e quando è il caso di far prevalere le ragioni di chi combatte la prima o difende di diritti della seconda. E qualsiasi sia la decisione presa a livello locale non rappresenterà un ostacolo a livello comunitario.


Si tratta evidentemente di una falsa presa di posizione, che lascia intendere di tutto ma che in pratica non dice molto, se non che la situazione non è di facile soluzione. L’Unione Europea preferisce perciò fare un passo indietro e, in un modo simile a quanto fece Pilato, lavarsene un po’ le mani, lasciando alle realtà locali l’onere di sbrogliare l’intricata matassa.


Al momento non si ha notizia di una presa di posizione ufficiale del Garante della Privacy, il quale si è limitato a rilevare una certa linearità tra la recente sentenza e posizioni già prese in passato dall’Autorità Europea. Un esempio in questo senso potrebbe essere il caso Peppermint dello scorso anno, che aveva visto coinvolta anche l’Italia.

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