Il traffico peer to peer sotto controllo

Le applicazioni P2P dilagano su Internet e rischiano di compromettere le performance delle reti. Provider e aziende corrono ai ripari

Il traffico peer to peer sta inondando le reti: chi scarica musica, chi film, più o meno illegalmente, chi telefona, chi gioca. Applicazioni come Skype, solo per citare la più nota, si diffondono a macchia d’olio, raccogliendo rapidamente milioni di utenti. Il motivo del successo è presto detto: sono facili da usare, veloci da installare, o, in molti casi, gratuite.


Ma per chi gestisce le reti, provider in testa, il peer to peer è fonte di grattacapi.


Tutto questo traffico, infatti, va a saturare la capacità delle reti e non è fonte di guadagno. Inoltre, va a togliere banda ad altre applicazioni, causando disservizi, congestioni e rallentamenti, che si verificano sia sulle reti pubbliche sia su quelle aziendali.


Per ovviare il problema, o perlomeno comprenderlo a fondo, vengono utilizzati i traffic analizer, apparati in grado di analizzare nel dettaglio tutto ciò che passa su una rete, a livello di protocolli e di applicazioni. In pratica, attraverso una serie di grafici, questi dispositivi offrono all’amministratore di rete una visione dettagliata di “chi sta facendo che cosa” nell’arco di un certo periodo di riferimento. Quanti utenti stanno utilizzando servizi VOIP? Quanti stanno giocando online? Chi naviga su Internet e per fare cosa?


I traffic analizer si stanno diffondendo sia nelle aziende sia presso i provider e con loro la tecnica del traffic shaping, che consiste nell’assegnare priorità al traffico per controllarlo. Se, da un lato, i traffic analyzer consentono di ottimizzare il funzionamento della rete, con benefici sia per chi fornisce la banda sia per chi la utilizza, dall’altro rappresentano una sorta di grande fratello di Internet, che controlla il comportamento dell’utente e interviene di conseguenza, per esempio limitando l’uso di alcuni servizi.


Il problema è evidente se pensiamo alle tariffe flat per la connessione a Internet, oggi disponibili presso tutti i provider. Cosa succede se tutti i clienti scaricano file tutto il giorno? Che la rete si intasa e l’operatore non ci guadagna più. Chi gestisce l’infrastruttura deve essere remunerato, e, in questo modo, è come se l’operatore vendesse acqua con un canone fisso mensile e tutti tenessero aperti i rubinetti sempre.


Tuttavia, gli utenti chiedono solo che i provider forniscano loro la banda e li lascino liberi di farci quello che vogliono, almeno a casa loro. Nel caso in cui un dipendente si mette a scaricare musica in azienda, è ovviamente necessario, anche per motivi di sicurezza, proteggere le risorse. Ma se un utente paga la connessione a casa sua, non vuole limiti all’utilizzo, a meno che non sia scritto esplicitamente sul contratto.

Limitare per migliorare il servizio


«L’analisi dell’utilizzo delle applicazioni – afferma Marco Centemeri di Cisco Systems -, offre più visibilità e consente di prendere decisioni migliori. L’esperienza presso un provider nostro cliente ha dimostrato che con la limitazione del traffico P2P le chiamate al customer care per problemi di lentezza della navigazione si sono ridotte a zero. Il controllo del P2P può migliorare la qualità delle altre applicazioni».


Centemeri fornisce alcuni esempi di come può essere limitato il traffico P2P: non può superare il 20% della banda totale, sempre, oppure solo nelle ore lavorative; viene limitato a 64 Kbps al superamento di una quota giornaliera di 40 MB.


Anche Antoine Guy marketing director, Emea, di Allot, società specializzata nella produzione di analizzatori di traffico, sottolinea i vantaggi che l’utilizzo di questi dispositivi può apportare in molte situazioni.


«Chi consuma tanta banda la toglie agli altri e peggiora il servizio – osserva Guy – I provider oggi devono garantire una banda minima. In passato, comprare una connessione a 10 Mbps significava fino a un massimo di 10 Mbps, senza un minimo garantito, cioè fra 0 e 10, e nessuno poteva lamentarsi se il servizio non funzionava, in base al contratto. Oggi non è più possibile. Per questo, è necessario posizionare i nostri apparati nel Pop del provider con l’obiettivo di evitare contese fra le diverse richieste di banda degli utenti, prevenire sovraccarichi e via dicendo».


Con i traffic analyzer, si può anche fare di più, come spiega Guy: «Un nostro cliente in Inghilterra offre un servizio che consente, attraverso un portale, di avere un collegamento a una velocità superiore a quella normale prevista dal contratto per un certo periodo, per esempio 4 Mbps invece di 2 per due ore, in caso di necessità, per esempio se deve scaricare un video o giocare con gli amici. Il sistema di provisioning e quello di billing consentono di aprire a un certo IP address un circuito virtuale, garantito». Altro caso citato da Guy è quello di un’università inglese, con 35.000 studenti che fanno quasi tutti uso massiccio del peer to peer. Hanno installato il dispositivo di Allot e non hanno più ricevuto chiamate all’help desk. «Ora possono controllare quello che succede – spiega il manager –e gli utenti sono più contenti. Non si tratta di spegnere il peer to peer, ma di gestirlo. Per esempio, aprirlo di notte e controllarlo di giorno. Oppure, bloccare il traffico di utenti che dall’esterno, per esempio dall’Australia o dal Giappone, si collegano ai clienti per scaricare, saturando un’infrastruttura di cui non sono clienti».


A fronte di tanti esempi positivi, c’è il timore che i Telco temano la concorrenza di servizi come Skype e facciano di tutto per ostacolarli. La rete è, in teoria, un luogo neutrale dove nessuno dovrebbe essere autorizzato a fare discriminazioni sul traffico o a dare preferenza a un servizio. Va detto anche che gli utenti che fanno un uso massiccio del P2P, sono solo il 5-10%, mentre molti nemmeno sanno cos’è. Per questa piccola parte di clienti, il provider potrebbe formulare un’offerta ad hoc.

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