Il ruolo dell’orchestration

Sono ancora pochii prodotti che consentono di automatizzare con flessibilità la maggior parte degli aspetti di un virtual data center

Nelle ultime due categorie di prodotti analizzate, il Virtual lab automation e l’Application lifecycle management, abbiamo visto come la virtualizzazione permetta di automatizzare determinati aspetti della gestione dei server. È chiaro, però, che le potenzialità vanno decisamente oltre i due ambiti descritti fino a ora.

L’ultima frontiera nel campo dell’automazione per data center è il cosiddetto “autonomic computing”, ovvero la possibilità di avere una infrastruttura che si riconfigura da sola in base alle esigenze di business e, soprattutto, che si ripara da sola.

Prima di arrivare a questo, saranno necessarie ancora molte evoluzioni tecnologiche ma certo la virtualizzazione rappresenta un passo fondamentale nella direzione giusta.

Evitare i colli di bottiglia

Nell’attesa che la server farm perfetta e autosufficiente diventi realtà, un numero esiguo di vendor sta cominciando a introdurre il secondo componente fondamentale per realizzare il progetto: uno strato software che, opportunamente programmato, permetta ai clienti di automatizzare con estrema flessibilità la maggior parte degli aspetti di un virtual data center. Quello che viene chiamato “orchestrational framework”.

Tale programmazione non è quella che sfrutta linguaggi come il C o il Visual Basic per scrivere nuove applicazioni, ma qualcosa a un livello molto più alto, che manipola elementi base come virtual hard disk, intere virtual machine o addirittura operazioni sulle Vm come una P2V migration.

Facciamo un esempio pratico. In un data center fisico è posta in produzione un’applicazione complessa di commercio elettronico (come un negozio di libri online). Questa applicazione è composta di un Web server che funge da front-end e di un cluster di database server che lavora in back-end.

Tutto il sistema, in termini di hardware e configurazione software, è dimensionato per servire agevolmente il numero massimo di visitatori che l’azienda si aspetta di avere contemporaneamente in un dato momento della giornata.

Per ragioni impredicibili, a un certo momento il numero di visitatori cresce in maniera esponenziale e il cluster di database non ha le risorse sufficienti per elaborare tutte le richieste.

Il risultato immediato è che un certo numero di potenziali acquirenti riceve un errore e non può concludere l’acquisto.

Anche se l’azienda fosse in grado di riconoscere tempestivamente il collo di bottiglia, non potrebbe porvi alcun rimedio perché l’espansione del cluster attraverso nuovo hardware o addirittura un nuovo elemento richiederebbe giorni, o settimane.

Se l’azienda ha già implementato un data center virtuale, e quindi il suo cluster è composto da virtual machine, il lungo iter di espansione può essere ridotto: una nuova virtual machine che funga da elemento aggiuntivo del cluster potrebbe essere pronta in poche ore.

Rimangono, tuttavia, una serie di problematiche che nemmeno il più evoluto degli hypervisor può risolvere, giacché l’azienda deve comunque riconoscere la necessità di espandere la propria infrastruttura e aggiornarne uno o più componenti di conseguenza il più velocemente possibile.

Qui entra in gioco l’orchestrational framework, che può reagire all’esigenza improvvisa in maniera più efficiente che non in caso di intervento umano.

Immaginiamo che il framework in questione sia in grado di interrogare periodicamente l’hypervisor per ricevere le statistiche d’uso delle sue virtual network. Immaginiamo che analizzando lo storico di queste statistiche il framework riconosca un’attività di rete anomala verso il cluster virtuale.

Immaginiamo che questo evento scateni una reazione opportunamente programmata dall’amministratore di sistema: il framework accede a una speciale area disco, di solito chiamata “Vm library”, dove sono conservate delle macchine virtuali non ancora inizializzate, copia da questo repository una delle Vm pre-configurata per il ruolo di database server, la inizializza con i parametri necessari affinché diventi un nuovo elemento del cluster virtuale, configura il network virtuale di conseguenza e pone il nuovo elemento in produzione.

Il tutto senza l’intervento dell’amministratore di sistema.

Rispetto al primo scenario, qui l’improvvisa domanda viene gestita agevolmente dal database server che può contare su più elementi (e quindi più potenza di calcolo).

Addirittura, con un processo inverso, l’orchestrational framework potrebbe riconoscere il momento in cui il numero di visitatori ritorna nella media e decommissionare la macchina virtuale che ha messo in produzione poco prima, riducendo così l’impegno di risorse fisiche.

Oggi pochissimi clienti hanno questo genere di esigenze e quindi il segmento di mercato è ancora pressoché vuoto. Ma alcuni tra i maggiori produttori di hypervisor stanno lavorando per offrire degli orchestrational framework a quelle aziende che sono pronte ad abbracciare completamente la virtualizzazione.

Conclusioni finali

Riepilogando, ricordiamo che la cosiddetta hardware virtualization è una tecnologia inventata negli anni 60 da Ibm e utilizzata a quell’epoca esclusivamente nel mondo dei mainframe.

Alla fine degli anni 90 un’azienda che oggi è leader di mercato, Vmware, e alcuni suoi competitor l’hanno portata nel mondo dei server e delle workstation a tecnologia x86. Da allora, la virtualizzazione sta rivoluzionando il modo in cui pianifichiamo, implementiamo e amministriamo i nostri data center.

All’inizio i vendor hanno proposto questa tecnologia allo scopo di semplificare la manutenzione degli applicativi legacy, e per consolidare un gran numero di server fisici.

Oggi si cominciano a esplorare nuove applicazioni: dal consolidamento delle workstation aziendali alla rivoluzione della sicurezza informatica, passando per l’automazione parziale dell’infrastruttura informatica.

Una volta che la virtualizzazione sarà diventata un elemento fondamentale in tutti questi ambiti, saremo pronti ad andare oltre, usando la tecnologia per realizzare reti di computer disponibili ovunque, data center modulari che si assemblano come mattoncini Lego, dispositivi mobili che eseguono applicazioni pensate per le workstation e i server, ma molto altro ancora c’è dietro l’angolo.

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