Il ruolo della Bi nella gestione delle informazioni

Oracle spiega il proprio approccio alla Business intelligence e analizza le problematiche che le aziende incontrano nell’organizzare ed elaborare una mole crescente di dati

In principio erano i dati. Oggi sono le informazioni. La differenza che passa
tra i due è stata evidenziata dall’ultimo decennio durante il quale
si è passati dal problema di dotarsi della tecnologia adeguata per l’aggregazione
dei dati aziendali (database) alla necessità di elaborare tali dati,
anzi di riceverli già organizzati, sotto forma di informazioni, appunto.
I mezzi per riuscire nell’intento sono raccolti nelle varie suite di Business
intelligence che prosperano sul mercato.
Oggi, quella che verrà più avanti definita come la “terza
generazione” del management aziendale, ha la necessità di rendere
accessibili una quantità sempre crescente di dati e informazioni a un’altrettanto
enorme numero di utenti con varie capacità decisionali. E i prodotti
si stanno adeguando alle nuove necessità con risultati anche sorprendenti.
Abbiamo incontrato Arjan Karenbeld, Business intelligence Sales director di
Oracle della regione Western Continental Europe e Gherardo Infunti, a capo della
Business Unit italiana di Oracle per i prodotti di Business intelligence per
delineare un quadro più dettagliato del panorama italiano.

Quali sono i principali problemi di gestione delle aziende, stando alla sua
esperienza?

Arjan Karenbeld: «Se si fa una fotografia olistica di una azienda,
si deduce che un ruolo fondamentale è rivestito dalle informazioni, che
sono il tessuto connettivo che permette le relazioni tra le varie figure. Le
informazioni importanti, poi, sono diverse in base al ruolo ricoperto in azienda.
Il vero problema, nelle grandi società, come in quelle di media grandezza,
è sapere gestire le informazioni e ottimizzarne il flusso. Ancora, chi
analizza l’andamento generale lavora spesso su dati non aggiornati. Oracle
si è soffermata molto su questo problema e nella sua offerta in ambito
di Business intelligence vi è ora la possibilità di accedere alle
informazioni praticamente in tempo reale. Questo aiuta i responsabili dei vari
settori non tanto ad affidarsi a un mezzo che decida per loro, quanto a essere
guidati nelle decisioni da prendere giorno dopo giorno
».

In generale, dal suo osservatorio, quali aziende utilizzano con successo la
Bi? C’è un limite dettato dalle dimensioni in termini di numero
di dipendenti?

A.K.: «Naturalmente le grandi aziende sono quelle che da più
tempo si affidano alla Business intelligence: la usano, ne traggono vantaggio
e soprattutto insegnamento. Infatti, si trovano ora ad avere bisogno di una
nuova generazione di prodotti di Bi, in grado di abbracciare tutte le figure
professionali presenti in una grande organizzazione. Le medie aziende, per intenderci
quelle realtà con un numero di dipendenti da 50 a 500, cominciano a loro
volta a essere interessate ai prodotti di Bi. Già in passato avevano
fatto investimenti nell’It e in particolare nei software di reporting.
Ancora di più oggi devono dotarsi di strumenti che reputo essenziali
per continuare a interagire con il mondo moderno, con tutti i nuovi canali di
comunicazione e di vendita, dal Web al telefono e alle video conferenze, per
non parlare degli input che arrivano dalle applicazioni Web 2.0. Le soluzioni
di Business intelligence porteranno le medie imprese a gestire questa nuova
ondata di informazioni, ad avere una visione davvero globale dei loro clienti
e delle loro esigenze, delle loro prestazioni operative, oppure a creare prospetti
finanziari aggiornati. Oracle ha realizzato per le medie aziende la Standard
Edition One, un versione dell’offerta Bi, che a sua volta si declina in
tre versioni differenti per far fronte alle necessità di ogni dimensione
aziendale
».

In Italia abbiamo una realtà molto frammentata, dove in fondo non sono
molte nemmeno le aziende che vanno da 50 a 500 dipendenti. Qual è il
livello di sensibilità all’integrazione con prodotti di Bi?

Gherardo Infunti: «Innanzitutto voglio chiarire che “piccolo”
non significhi di conseguenza “non all’avanguardia”. Abbiamo
diversi clienti di dimensioni modeste dal punto di vista del numero di dipendenti,
diciamo intorno ai 50 addetti, e ovunque ho notato che un management di successo
è determinato sempre dall’abilità di reperire le informazioni.
Qualche tempo fa la Bi era percepita come ispettiva e sanzionatoria e per questo
le veniva assegnato un valore complementare. Oggi, tutto questo è stato
superato dal fatto che, se si vuole rimanere sul mercato, non si può
prescindere dall’analisi delle informazioni generate dalla propria attività.
E non si può ignorare che le decisioni importanti vanno prese nel minore
tempo possibile. Ora, la principale caratteristica delle piccole aziende è
la flessibilità e la velocità, anche nel cambiare direzione, se
occorre. La Bi permette loro di agire in fretta senza tralasciare alcun aspetto
importante per le decisioni da prendere. Negli ultimi 10 anni le cose sono molto
cambiate. La prima generazione nelle aziende ha avuto il suo bel da fare a recuperare
i dati, concentrandosi sulla tecnologia che occorreva per aggregare le fonti
e per fornire poi l’accesso ai dati. La seconda generazione, poi, si è
soffermata sul significato di questi dati e sull’eleborazione di una piattaforma
comune di utilizzo delle informazioni che scaturivano dai dati. A mio parere,
oggi ci troviamo nelle medie e grandi imprese all’inizio della terza generazione,
quella analitica. Come fornitore di Business intelligence dico all’imprenditore:
Qui ci sono i dati, utilizza pure il tuo foglio di Excel o il tuo tool preferito
per accedere a questi dati, ma io ti consegno la migliore analisi pratica di
questi dati. Stiamo ripercorrendo i passi registrati quando arrivarono sul mercato
le applicazioni Erp. Nessuno oggi pensa di scriversi da sé un’applicazione
finanziaria. Anche le piccole aziende si sono dotate degli appositi programmi,
tutti estremamente referenziati, e sulla base di questi analizzano il proprio
operato. La stessa cosa sta avvenendo per la Business intelligence
».

Quali sono i cardini della strategia di Oracle per i prossimi mesi nella diffusione
dell’offerta di soluzioni di Bi in Europa e in Italia in particolare?

A.K.: «La nuova strategia parte dalla versione presentata nel marzo
2006 e prosegue con le implementazioni della release 3 di Oracle Business Intelligence
Suite Enterprise Edition annunciate durante l’OpenWorld. Abbiamo lavorato
sodo per realizzare e offrire quelle che chiamiamo le tre caratteristiche principali
della nostra offerta per il prossimo anno 2007. La prima è senza dubbio
la Pervasive Intelligence. Abbiamo fatto in modo che le informazioni risultassero
pertinenti per tutti gli utenti, distribuite con puntualità e disponibili
su diversi media, come cruscotti interattivi, report, avvisi real-time, analisi
mobili offline, integrazioni con Microsoft Excel, ma soprattutto integrate nell’intero
workflow dell’azienda. La seconda chiave riguarda l’integrazione
strategica con tutti i prodotti Oracle, quali Applications, Database e Middleware,
allo scopo di abbattere i costi derivanti dalle varie implementazioni cui le
aziende sono soggette in ambito It a causa delle continue esigenze di mercato.
Infine, la terza e rivoluzionaria caratteristica è rappresentata dall’architettura
Hot-plug. La suite è basata su standard aperti e si integrerà
con qualunque infrastruttura già esistente in azienda, comprese le versioni
più aggiornate dei database tra i quali Ibm Db2, Ncr Teradata e Microsoft
Sql Server. Inoltre, tramite l’estensione del supporto per le fonti dati
multidimensionali, sarà possibile accedere direttamente a Sap Business
Information Warehouse
».

G.I.: «Sulla Pervasive Intelligence vorrei aggiungere che non si
tratta solo di essere in grado di ricevere ed elaborare le informazioni su più
livelli e da parte di un grande numero di utenti, qualsiasi sia il loro ruolo
in azienda. La Pervasive Intelligence cha abbiamo implementato agisce anche
sui processi aziendali e in tempo reale. Da una parte permette di raccogliere
i dati, per esempio di un cliente, tipici del datawarehousing e permette all’utente
di fare un’analisi storica, dall’altra è in grado di prendere
informazioni da una transazione che quello stesso cliente ha fatto 10 minuti
prima, interagendo direttamente sull’applicazione utilizzata dal call
center dell’azienda. In gioco vi è la possibilità di prendere
decisioni importanti potendosi basare su tutti i dati disponibili, in un lasso
di tempo brevissimo e riducendo il margine di errore
».

Cosa direste a chi teme falle nella sicurezza dei dati, visto l’aumento
continuo nelle aziende non solo dei dati ma anche del numero di utenti connessi
simultaneamente alle varie applicazioni?
A.K.: «La domanda sottolinea una preoccupazione che so essere un punto
chiave per gli imprenditori e i top manager che si apprestano a investire su
sistemi informativi complessi. Per di più oggi può capitare che
decine, centinaia e persino migliaia di persone possano essere collegate allo
stesso sistema di accesso ai dati e alle informazioni, con diverse capacità
di utilizzo delle applicazioni stesse. Eventuali sbagli, che non dimentichiamo
possono essere involontari ma anche “volontari”, hanno arrecato
in passato anche danni importanti alle aziende. Dal mio osservatorio europeo
ho anche avuto modo di rendermi conto che le leggi di tutela per episodi di
perdita o furto di dati non sempre aiutano le imprese come ci si aspetterebbe.
Detto questo, il sistema di autorizzazioni impostato durante la fase di start
up e integrazione iniziale è fondamentale, e nei prodotti Oracle non
ha mai avuto falle. Il fatto, poi, che le soluzioni Oracle siano open based
e si interfaccino con altre soluzioni, invece di ingenerare problemi di sicurezza
in realtà ci ha indotto a porvi ancora più attenzione e a garantire
un prodotto testato molto seriamente e che funziona da anni presso molti clienti
»

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