Il pressapochismo macchia il boom dell’e-learning

Secondo il Global Information Technology Report 2001-2002, elaborato dal World Economic Forum e dall’università di Harvard, l’Italia è venticinquesima nella classifica delle nazioni più tecnologiche. Questo deludente risultato è un’ulteriore conferma c …

Secondo il Global Information Technology Report 2001-2002, elaborato dal World Economic Forum e dall’università di Harvard,
l’Italia è venticinquesima nella classifica delle nazioni più tecnologiche.

Questo deludente risultato è un’ulteriore conferma che nel nostro Paese
c’è ancora molto lavoro da fare. Alla base, il problema da risolvere è
quello dell’education in ambito Ict, che ormai deve investire a pioggia
tutti i lavoratori italiani, naturalmente con le dovute differenze. Non a
caso, il ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, sta
attivandosi per informatizzare la Pa e dare almeno una alfabetizzazione
sull’It a tutto il personale, per riuscire a rinnovare le strutture
pubbliche. Ma visto che il tessuto produttivo nazionale è rappresentato da
qualche milione di Pmi, è soprattutto dal top management di quest’ultime che
deve partire la spinta a investire in formazione, una volta presa coscienza
che l’Ict può giocare un ruolo strategico all’interno del proprio business,
soprattutto in un contesto di globalizzazione dei mercati. Questa nuova
consapevolezza potrebbe mettere in moto tutta una serie di processi di
modernizzazione che servirebbero al rilancio dell’intero Sistema Paese. È
chiaro che oggi in Italia i nodi da sciogliere non sono pochi, ma dal
momento che varie indagini hanno evidenziato che tra le priorità future
delle Pmi c’è un aumento degli investimenti in formazione, spetta anche a
chi fa training essere in grado, con i vendor, di realizzare corsi di facile
fruibilità e che diano un reale beneficio a chi li segue. In un contesto in
cui le aziende devono tenere a bada i costi e la formazione deve essere,
come contenuti e utilizzo, a misura di utente, si inserisce il crescente
interesse verso l’e-learning. Anche perché, sia Gartner Dataquest che Idc in
Italia prevedono un raddoppio annuo fino al 2004 del giro d’affari della
formazione a distanza, mentre discordano sul valore previsto in quella data:
990 milioni di dollari per la prima, 259 per la seconda.
Queste crescite
esponenziali, se da un lato hanno portato a un significativo aumento
dell’offerta, dall’altra hanno anche spinto molti a improvvisarsi esperti di
piattaforme e soluzioni di e-learning, mettendo in difficoltà le aziende
utenti. Tutto questo non fa certo bene al mercato, che peraltro è ancora in
cerca di parametri che qualifichino l’offerta. Inoltre, una volta scelto il
partner con cui realizzare il corso di formazione online e valutati i
contenuti (altro punto critico del nuovo approccio formativo), le
società devono adottare un forte commitment interno a usare Internet e a
spingere i propri dipendenti a seguire i corsi con continuità.

L’accettazione da parte dell’end user, però, non è scontata, anzi.
Per
questo molti vedono nell’e-learning non un mezzo sostitutivo della
formazione classica, con docente e aule, ma un elemento di affiancamento. 

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