Il Politecnico insiste: c’è bisogno di un pivot

Pubblicato il rapporto 2004 dell’Osservatorio permanente sull’utilizzo strategico dell’Ict nelle Pmi

Forse più che di pivot bisognerebbe parlare di playmaker ma al di là della
terminologia da utilizzare l’esistenza di un punto di riferimento in azienda che
abbia una certa sensibilità verso le nuove tecnologie è secondo il Politecnico
una delle condizioni eseenziali perché maturi il rapporto fa high tech e
aziende. La presenza del pivot, secondo l’osservatorio permanente sull’utilizzo
strategico dell’Ict nelle Pmi del Politecnico di Milano, deve però essere
accompagnata da un forte commitment del vertice strategico e da
un buon presidio dei processi innovativi che richiede un’adeguata direzione It,
con un profilo di competenze idoneo, oppure un adeguato fornitore esterno che
svolga il ruolo di partner strategico dell’impresa su tutte le problematiche
relative all’Ict. Il ruolo chiave, come già evidenziato nei primi risultati
dell’indagine pubblicati lo scorso anno, rimane quello del pivot che può essere
il responsabile It, l’amministratore delegato, il figlio dell’imprenditore o un
manager. Questa figura non deve necessariamente possedere approfondite
competenze tecniche
(anche se è necessaria una forte sensibilità alle
tecnologie), mentre deve possedere buone competenze gestionali e di business.
Sulla base dell’esistenza o meno di queste condizioni l’ateneo milanese ha individuato quattro macro-categorie che misurano la predisposizione all’innovazione delle Pmi.

Pronte: sono imprese nella quali si sono create tutte le condizioni favorevoli all’innovazione Ict. Il vertice ha spinto in direzione dell’high tech, il pivot ha coordinato i lavori ed è presente un adeguato presidio gestionale dei processi Ict.

Belle addormentate: non hanno ancora alcuna sensibilità alle problematiche Ict e di conseguenza non hanno un pivot e non si preoccupano del presidio gestionale. L’Ict è un costo, un male necessario.
Incipienti: il vertice ci crede ma non ha ancora fatto passi concreti a livello organizzativo e gestionale.

A metà del guado: anche qui il vertice ci crede ma non è stato ancora terminato il processo di preparazione organizzativa e gestionale.
La ricerca
prosegue evidenziando il livello di maturità Ict nelle Pmi con imprese immature,
miopi o statiche, impostate e lungimiranti e un’analisi finale che ricorda come
storicamente le imprese italiane abbiano sempre posto attenzione più
all’innovazione di prodotto che di processo. “Di questa limitata attenzione ai
processi, oltre che di una particolare matrice culturale – osserva il
Politecnico – è figlia la scarsa attenzione all’Ict delle nostre Pmi. Tutto
questo non ha generato problemi fino a quando il contesto economico è
stato favorevole
e, aggiungiamo noi, la lira ha potuto usufruire dei
benefici della svalutazione. Poi la situazione è cambiata e allora si è avuto un
circolo virtuoso e uno vizioso. Il primo, spiegano Andrea Rangone e Stefano
Mainetti che hanno curato la ricerca, vede protagoniste quelle imprese che si
sono trovate a operare in aree di business attrattive caratterizzate da buoni
tassi di crescita del mercato. In questo gruppo di imprese si trova buona parte
degli innovatori Ict più efficaci. Chi si è trovato di fronte a una forte
competizione ha spinto l’acceleratore dell’innovazione, mentre all’opposto chi
si è trovato in aree meno stimolanti e in fase calante si è
focalizzato su alcune urgenze strategiche ponendo in secondo piano l’Ict. In
alcune di queste imprese, la scarsa attenzione all’innovazione, ha contribuito a
impedire che si creassero le condizioni per un rilancio in chiave espansiva
dell’impresa.

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