Il periodo di prova

Il patto può essere applicato sia nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato sia a quello per il tempo parziale

L’assunzione definitiva del lavoratore può essere subordinata all’esito
positivo di un periodo di prova, volto ad accertare in concreto la reciproca
convenienza alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Il periodo di prova deve
risultare da una clausola apposta al contratto di lavoro il quale, secondo
l’opinione prevalente, si configura quale contratto sottoposto a condizione
risolutiva o sospensiva. Il patto di prova può trovare applicazione, oltre al
normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che
parziale, anche:
– ai rapporti di lavoro a tempo determinato; – nei
confronti di lavoratori assunti obbligatoriamente, a condizione che la prova si
riferisca alle residue capacità lavorative del soggetto ed a mansioni
determinate e compatibili con le minorazioni del disabile;
– alle assunzioni
per passaggio diretto;
– nei confronti di lavoratori assunti con contratto
di formazione e lavoro, ma in tal caso la prova ricade sulla capacità del
lavoratore di acquisire la professionalità richiesta.
È invece illegittima
l’apposizione del patto di prova al contratto di lavoro qualora il lavoratore
venga assunto presso la stessa impresa ove abbia già prestato la propria
attività con contratto di lavoro temporaneo quando le mansioni siano
sostanzialmente le stesse.


Forma e durata
Secondo quanto stabilito dall’art. 2096
cod. civ., il periodo di prova deve risultare da atto scritto. L’apposizione del
patto di prova deve inoltre essere anteriore o contestuale all’assunzione (la
stipulazione successiva determina la nullità del patto).
La durata massima
del periodo di prova è di regola stabilita dai contratti collettivi. Tuttavia
l’art. 10 della L. n. 604/1966, nello stabilire che la disciplina limitativa dei
licenziamenti si applica, per i lavoratori assunti in prova, “dal momento in
cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei
mesi dall’inizio del rapporto di lavoro”
, implicitamente fissa un
termine massimo semestrale.
Inoltre, secondo l’art. 4 del
R.D.L. n. 1825/1924, recante disposizioni relative al contratto d’impiego
privato, il periodo di prova non può in nessun caso superare:
– sei mesi per
gli institori, procuratori, rappresentanti a stipendio fisso, direttori tecnici
o amministrativi ed impiegati di grado e funzioni equivalenti;
– tre mesi,
per tutte le altre categorie di impiegati. Ai sensi dell’art. 2096 cod. civ.,
inoltre, è possibile anche che la prova abbia una durata minima, prima della
quale non è possibile esercitare la facoltà di recesso.
Una pronuncia della
Corte di Cassazione ha ritenuto la legittimità della clausola del contratto
individuale di lavoro con cui venga stabilito un periodo di prova di durata
maggiore di quella massima prevista dal contratto collettivo di categoria –
fermo restando il limite legale di 6 mesi – se il prolungamento sia giustificato
dalla particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore; il relativo
onere probatorio ricade peraltro sul datore di lavoro (Cass. 19 giugno 2000, n.
8295).


Trattamento economico e normativo
Per il lavoratore in
prova vige il principio della parificazione economica e
normativa
rispetto al lavoratore assunto in via definitiva; di
conseguenza anche al lavoratore in prova spettano il trattamento di fine
rapporto, le ferie retribuite e le quote di mensilità differite (ad es.
tredicesima ed eventuale quattordicesima).


Recesso dal rapporto
Ai sensi dell’art. 2096 cod. civ.
durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto,
senza obbligo di preavviso o d’indennità. La giurisprudenza ha tuttavia escluso
la possibilità di un recesso ad nutum, ritenendo sempre necessaria una
congrua motivazione, senza che però la stessa vada ad integrare
le più severe ipotesi della giusta causa o del giustificato motivo (Cass. 18
maggio 1989, n. 255). La giusta causa è invece necessaria qualora venga
stabilita una durata minima del periodo di prova.
La Corte costituzionale
(Corte cost. 22 dicembre 1980, n. 189) ha inoltre affermato che il giudice può
sindacare su di un eventuale uso distorto del potere di recesso, con eventuale
illegittimità del licenziamento ex art. 1345 cod. civ.


Superamento del periodo di prova
Terminato il periodo di
prova, nel caso in cui nessuna delle due parti receda, si instaura un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato ed il servizio prestato si computa
nell’anzianità del prestatore di lavoro.

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