Il Fondo italiano d’investimento

Analisi del primo vero strumento di politica industriale in chiave di private equity, il primo fondo d’investimento a capitale semipubblico

Il Fondo c’è. Ora si tratta di vedere se ci sarà anche la domanda. Il 2010, oltre ad aver rappresentato un momento di forte travaglio economico, ha anche visto nascere nel nostro paese il primo vero strumento di politica industriale in chiave di private equity, il primo fondo d’investimento a capitale semipubblico. Non più quindi soltanto finanziamenti a tassi agevolati o contributi a fondo perduto, ma la consapevolezza della necessità di implementare l’offerta per le medie imprese con uno strumento nuovo per loro, quello del capitale di rischio, del fondo chiuso. Sicuramente la crisi economica che ha colpito duramente l’economia italiana e mondiale negli ultimi due anni e mezzo ha reso il mondo delle Pmi maggiormente consapevole di quanto il capitale di debito elargito dal sistema bancario possa non essere sufficiente a coprire le proprie necessità finanziarie e le disponibilità degli imprenditori enormemente incapienti per affrontare le sfide del mercato, l’internazionalizzazione d’impresa, gli investimenti materiali e immateriali necessari a rimanere nel business.

Molti studi segnalano come il segmento delle Medie imprese sia quello che negli ultimi dieci anni ha contribuito maggiormente alla crescita del nostro paese. La loro vocazione all’internazionalizzazione, la loro spasmodica ricerca dell’efficienza produttiva, la loro dinamicità, la loro duttilità e il forte legame con il territorio rappresentano le chiavi di volta del loro successo, della loro capacità di generare ricchezza per l’intero paese. Esse rappresentano le imprese campione su cui investire per le ricadute importanti che sono in grado di generare e perché dimostrano di possedere una dimensione tale da porle sul mercato internazione rimanendovi stabilmente, affrontando concorrenza e investimenti. Ecco perché è proprio su di loro che il Fondo italiano d’investimento ha puntato il suo focus.

In un contesto di bassa patrimonializzazione e di utilizzo eccessivo del credito bancario di breve termine, lo strumento del private equity appare una misura di ineguagliabile forza per innalzare la dimensione media dell’impresa italiana, senza perdere in efficienza, ma avvicinandola alle dimensioni dei competitor europei.
La crisi ha ingenerato una diminuzione della redditività per le nostre imprese e un appesantimento della struttura finanziaria che soltanto uno strumento come quello del fondo d’investimento più riequilibrare.
Si tratta di una nuova forma di private equity che investe secondo una logica di sviluppo industriale e non solo di ritorno finanziario. Ha una forte valenza istituzionale, testimoniata dal fatto che all’interno del capitale sono presenti:

  • soggetti pubblici (Cassa Depositi e Prestiti, Ministero dell’Economia e delle Finanze)
  • associazioni datoriali (Confindustria)
  • soggetti privati (banche).

Rispetto ai fondi di private equity tradizionali ha minori pretese in termini di ritorni economici e di remunerazione del capitale di rischio e molta più pazienza in termini di uscita. Il suo orizzonte temporale di investimento è medio lungo, sufficiente a garantire una reale e duratura creazione di valore nell’impresa oggetto di investimento. Investe in partecipazioni di minoranza e mira alla crescita delle Pmi, stimolandone i processi aggregativi. Lo slogan potrebbe essere «stimolare imprese forti, leader, per sviluppare territori e settori economici». Made in Italy di qualità, high tech, servizi, nuove tecnologie, energie rinnovabili sono soltanto alcuni dei campi dichiaratamente nelle mire della Sgr pubblico privata.
In Italia sono presenti circa 15.000 imprese con un fatturato compreso tra i 10 e i 100 milioni di euro: esse rappresentano il primo obiettivo del fondo. Di queste 15.000, quelle con un fatturato compreso tra i 10 e i 20 milioni ammontano a circa 4.200 unità, le più numerose, il 46% del totale.
Sono in corso iniziative per costituire fondi strutturati regionali che coadiuvino il Fondo Nazionale, a cui dovrebbero partecipare Camere di Commercio, Finanziarie Regionali, Fondazioni…
Lo sforzo evolutivo costituito dal passaggio dal capitale di debito a quello di rischio a sostegno della crescita delle medie imprese presuppone un altro mutamento strutturale: quello dell’atteggiamento imprenditoriale, che dovrà essere improntato alla massima trasparenza, ad una governance aperta ai contributi di terzi, alla disponibilità ad aggregarsi, all’apertura ai mercati internazionali, all’approccio manageriale allo sviluppo d’impresa.

Le tappe
Il Fondo è nato nel dicembre del 2009 per volontà del Ministero dell’Economia e delle Finanze. A marzo 2010 è stata costituita la Società di gestione del risparmio (Sgr), che Banca d’Italia ha autorizzato a fine agosto. A fine novembre era già stato effettuato un primo closing, con sottoscrizioni per 1,2 miliardi di euro. Il Fondo sta attualmente valutando le prime proposte di investimento.

Di cosa si tratta
È un fondo immobiliare chiuso riservato a investitori qualificati con obiettivo di raccolta di 3 miliardi di euro. Prevede l’assunzione di partecipazioni dirette nelle Piccole e Medie imprese o interventi come “fondo di fondi” (investimenti in altri fondi con politiche e obiettivi simili).
Il capitale della Sgr è ripartito tra Cassa depositi e prestiti, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Abi, Confindustria, Intesa, Montepaschi e Unicredit. Sono attesi altri ingressi.

A chi si rivolge
Imprese italiane con fatturato tra i 10 e i 100 milioni di euro. Particolare attenzione alle tematiche di managing buy out/ buy in e ricambio generazionale. Prospettive di sviluppo, disponibilità ad aggregarsi, valorizzazione di marchi e brevetti costituiranno elementi preferenziali nella valutazione delle richieste di intervento.
Il Fondo non si rivolge a imprese in crisi, a società finanziarie, a investimenti immobiliari o a start up.

Forme di intervento
Sottoscrizione di aumenti di capitale specifici, prestiti obbligazionari convertibili, mezzanine finance rappresentano le modalità di intervento del Fondo. Le partecipazioni saranno di minoranza, ciascuna indicativamente non superiore ai 30 milioni di euro.

Obiettivi del Fondo
Creare una fascia di medie imprese nazionali flessibili e all’avanguardia, in grado di competere stabilmente sul mercato internazionale. Il Fondo mette a disposizione non soltanto denaro, ma anche la presenza di manager all’interno dei Consigli di amministrazione per migliorare la governance delle imprese.
L’uscita del Fondo dalle imprese avverrà a obiettivi raggiunti, in maniera graduale, scegliendo il canale di vendita più consono, senza cercare a tutti i costi la massimizzazione dell’investimento. Periodi di investimento più lunghi del consueto quindi e minore remunerazione rispetto agli strumenti di private equity tradizionali. Il Fondo punta ad un numero elevato di operazioni.

Conclusioni
Il progetto è ambizioso e prevede la partecipazione di una pluralità di soggetti tra loro diversi (Associazioni di categoria, Stato, Banche). Gli obiettivi sono assolutamente condivisibili. Starà alla struttura della Sgr trasformarli in effetti concreti per le imprese e per il paese. In particolare non sarà facile superare la consolidata diffidenza del mondo imprenditoriale. Cedere qualche poltrona del proprio Consiglio di amministrazione a soggetti esterni alla proprietà potrebbe essere difficile da digerire, come l’intromissione di manager nelle decisioni strategiche e nei piani industriali della propria azienda. Ma questo rappresenta il vero prezzo da pagare per poter utilizzare uno strumento diverso, innovativo, al di fuori del circuito del capitale di debito tradizionale. Non ci sono scorciatoie: da un lato trasparenza e condivisione da parte dell’imprenditore, dall’altro finanza innovativa in grado di rendere veramente grande e competitiva la propria impresa.

(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

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