Il credo dell’integrazione produce valore per l’azienda

Da necessità a priorità, che deve essere affrontata da più fronti. Ma sul modo di procedere, i responsabili It hanno visioni differenti, come è emerso dai 14 partecipanti all’Agora Club di Software Ag

Integrazione. Un concetto che nasconde una grande complessità, differenti livelli di percezione e opinioni variegate, che però portano a un’unica certezza: è necessaria. Eccome, da qualsiasi lato la si guardi (sistemi, business, infrastrutture). Si tratta di una priorità per l’It, nata dal fatto che sistemi e soluzioni difficilmente riescono a entrare in comunicazione tra loro senza un intervento “esterno”. Un focus che, però, non è più affrontabile solo dal fronte tecnologico. Chi ha la responsabilità aziendale chiede a chi governa l’infrastruttura It di supportare il business della società. E il Cio, se coinvolto nelle strategie, sa benissimo che per evolvere non può prescindere dall’integrazione. La difficoltà sta nel renderla visibile, concettualmente, a livello di consiglio di amministrazione


Approcciare progetti di questo taglio, quindi, non significa solo far parlare un linguaggio standard ai sistemi ma farne percepire il valore a chi guida l’impresa. E qui, gli approcci imboccano differenti strade: qualcuno preferisce integrare le funzioni di un sistema centrale Erp, altri vogliono svincolarsi proprio da quest’ultimo.


Superata la teoria, quindi, si passa alla pratica ed è a questo punto che le aziende intrecciano percorsi diversi. Lo confermano anche le testimonianze raccolte da Linea Edp durante l’Agora Club, incontro organizzato da Software Ag per offrire a quattordici responsabili dei sistemi informativi la possibilità di discutere e confrontarsi, in modo informale, sull’essenza dell’integrazione, sulla sua necessità e sui suoi sbocchi.


Alberto Ostorero di Telecom Italia, ad esempio, ha messo l’accento sulle differenze che esistono tra integrazione di sistemi e di processi. «La prima riguarda strettamente, anche a livello decisionale, i sistemi informativi, mentre la seconda costituisce un aspetto più globale a cui l’It deve dare risposte efficaci. Noi possiamo valutare come fornire gli strumenti più idonei a supporto, ma la decisione di integrare le diverse realtà aziendali compete al management». L’It si trova, quindi, ad affrontare aspetti di integrazione differenti in base all’evoluzione della società, che, paradossalmente, se fosse statica, senza variazioni, non avrebbe bisogno di investire in questo senso, se non per le operazioni quotidiane. «Il vero problema – ha ripreso Ostorero – è che con l’attuale riduzione dei budget ci si deve concentrare su aspetti mirati. Logicamente, si cerca di farlo con lungimiranza per non dover rincorrere ogni giorno una nuova esigenza specifica. All’amministratore delegato non interessa come l’It proceda nell’integrazione dei sistemi, ciò che conta è che sia in grado di fornire i servizi richiesti in tempi rapidi. Principalmente, quindi, si dovrebbe procedere sempre e comunque secondo le esigenze di business».


I sistemi a supporto dell’impresa


Giovanni Prandini di Oerlikon (società che opera nel settore della difesa) guarda all’integrazione nella triplice veste di responsabile It (anche se non di estrazione tecnica), di Cfo e di membro del board. «Il management si accorge dell’It solo quando le cose non funzionano. Se, invece, fila tutto liscio, l’It è semplicemente un mal di testa necessario. Uno scoglio all’integrazione può venire dal fatto che, spesso, si teme che dati privati, come ad esempio gli stipendi dei dipendenti, possano essere visti da chi si occupa di integrare i sistemi. L’It manager, infatti, è talvolta considerato come una figura dalla quale ci si deve proteggere. Nel complesso, comunque, integrazione per me significa mantenere l’azienda il più possibile coerente con la più importante scelta strategica: l’Erp. Laddove ci si discosti, bisogna porre attenzione, a priori e non a posteriori, al problema dell’integrazione, devono essere effettuate analisi preventive non solo sulla bontà della soluzione ma anche sulla capacità di integrarsi col sistema esistente». Si tratta, quindi, di portare l’azienda verso un modello di business supportato dai sistemi che dia risposte veloci, affidabili e univoche. «E io non l’ho visto succedere in nessuna impresa – ha proseguito Prandini -. Ci sono approssimazioni tendenti alla perfezione ma ancora lontane dal risultato, anche se gli sforzi vanno in questa direzione».


A rivendicare il completamento del percorso è stato, invece, Lorenzo Raggi De Marini, di Ignazio Messina (armatore ligure che svolge servizi di linea da e per i principali porti del Mediterraneo, l’Africa, il Medio Oriente e il Sub Continente Indiano), che parla di integrazione costruita all’interno. «Le varie applicazioni sono state scritte direttamente da noi, tranne una in area finanziaria di cui molto spesso ci dobbiamo lamentare, quindi possiamo dire di aver integrato tutte le aree per seguire le merci nelle tratte del trasporto».


L’impatto sul business


L’integrazione è in corso da due anni anche presso Poste Italiane e dovrebbe concludersi entro il 2007. Paolo Baldelli la ritiene un «progetto chiave. Sul tema stiamo procedendo dal punto di vista commerciale, ad esempio con il Crm, da quello dei dati, con l’enterprise data warehouse, e da quello del canale di vendita, con la costruzione di un’infrastruttura multicanale. Sicuramente, la pura integrazione dei sistemi, che non ha un impatto diretto sul business, interessa meno all’azienda rispetto a temi quali la razionalizzazione dei costi e il miglioramento dei livelli di servizio». D’accordo su questo concetto, si è dimostrato anche Andrea Zenesini di Bit Systems (società al 100% di Borsa italiana che eroga servizi It a operatori privati, pubblici, istituzioni finanziarie e società di gestione dei mercati), che ha specificato come l’approccio del management vada verso una riduzione dei costi. «L’integrazione è vista come un’opportunità di ridurli. In realtà, di prodotti sul mercato ce ne sono parecchi, ma ritengo che non ci sia ancora una risposta valida alla ricerca di una soluzione che sia efficiente e cross».


Una situazione di partenza complessa, che necessita di integrazione, è anche quella di Tils (Telecom Italia Learning Services), nata nel 2001 come sintesi di quattro società del gruppo Telecom, quindi con differenti culture, software gestionali e piattaforme di learning. «Una delle prime mosse – ha osservato Federico Zuin – è stata il rollout di Sap che, dopo alcune difficoltà iniziali, è decollato. Il management, poco interessato agli aspetti It, come in alcuni casi è normale che sia, si è limitato a fornire le linee guida e i tempi massimi di progetto. Un cambiamento al vertice ha dato impulso all’integrazione della piattaforma di learning con l’Erp. Come ultimo stadio, è prevista la realizzazione di un sistema di repository dei percorsi formativi di tutte le risorse del gruppo Telecom Italia». E anche Zuin ha sottolineato che la condivisione dei dati, principalmente quelli legati alle risorse umane, è spesso vista con timore.


Un’altra azienda che sta affrontanto un progetto di integrazione è Assimoco (gruppo assicurativo del Movimento Cooperativo Italiano). «I prossimi anni saranno molto caldi – ha indicato Danilo Ughetto -. L’obiettivo è di mantenere le applicazioni legate al mainframe, portandole però sul Web con una componente di integrazione servizi. Lo stesso vale per Sap, anche se fino a ora non se n’era presentata l’esigenza».


Chi ha bisogno dell’Erp


Percorso differente per la toscana Giunti Editore che, cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni per l’acquisizione di due catene di librerie, ha deciso, con una scelta drastica e coraggiosa, di abbandonare Sap. «Circa sette anni fa, l’azienda aveva scelto questo Erp ed effettuato una prima integrazione – ha raccontato Andrea Guariento -. Ad oggi, però, pensare di proseguire su questa strada è insostenibile; sarebbe troppo vincolante. La direzione non ne fa una questione di soldi, ma di tempi. Abbiamo, quindi, congelato tutto il mondo Sap, per non essere più schiavi di uno strumento, che, invece, dovrebbe essere un supporto». Anche Lombardia-Servizi (ente pubblico che realizza progetti regionali It ad ampio respiro) ha bisogno in modo limitato di un sistema Erp. «L’abbiamo sempre osteggiato – ha osservato Paolo Fornasari – perché altri enti pubblici, che sono andati in questa direzione, non stanno ottenendo risultati se non quello di spendere milioni di euro. Molte delle nostre procedure sono sviluppate ad hoc, ciò nonostante esistono problemi di integrazione. In particolare, stiamo guardando con interesse a quella dei processi di business, che non entra nel merito della revisione dei singoli applicativi. Problematica che richiede estrema attenzione è la gestione dei dati sensibili».


Fuori dal coro è stata la voce di Carlo Daziano di Vodafone Italia, che ha spiegato come la sua azienda sia cresciuta molto velocemente senza però incontrare grossi problemi di integrazione anche se «dal lato sistemi informativi a supporto del cliente, a distanza di dieci anni, abbiamo qualcosa che “scoppia” e qualcosa che ancora fatica a parlarsi. Quindi, i problemi di integrazione riguardano la comunicazione tra applicazioni specifiche».


Per quanto riguarda Rnc (filiale italiana di Rci Banque, che appartiene al 100% al Gruppo Renault e ne gestisce l’attività di credito alla clientela), la spinta verso l’integrazione è venuta dalla consapevolezza che «se non ci si fossimo velocizzati avremmo corso il rischio di bruciare valore – ha ammesso Umberto Marini -. L’integrazione dei processi diventava, quindi, fondamentale. L’Edp ora fa parte dell’executive board e con decisioni a gruppo ristretto, si ottiene già una prima integrazione».


Anche in Fiditalia, società di credito al consumo, integrazione rappresenta la parola d’ordine di tutta l’attività quotidiana per garantire l’univocità dell’informazione. Paolo Torelli, a capo di un’It che partecipa al comitato direttivo, ha parlato di integrazione di sistema: «I processi vengono plasmati successivamente».


Una situazione opposta è quella di ThyssenKrupp (società umbra che opera nel campo della produzione e distribuzione degli acciai speciali) che Sonia Bertocco ha descritto come azienda di processi. «Abbiamo vissuto molti anni fa il problema dell’integrazione interna, che ora vive una fase di modernizzazione. Oggi, invece, è forte l’attenzione verso l’esterno». Anche l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha avviato un progetto d’integrazione per le sue cinque sedi (tre al Nord, una a Roma e una a Campobasso), accentrando i sistemi informativi e le telecomunicazioni. Nel 2005 sono stati rinnovati i processi e l’organizzazione dei singoli reparti. «Da qui è partita l’integrazione sui sistemi – ha puntualizzato Lorenzo Cecchi -. È stato completato il primo dei previsti tre anni di cambiamento e il vertice ha compreso che il piano di modernizzare l’università passa dai progetti It e, in particolare, attraverso le SOA».


La sfida delle SOA


E qui sta il nocciolo della questione. Le Service oriented architecture non sono una moda, ma una leva per l’integrazione, un modo per riutilizzare e connettere vari processi, rendendo disponibili servizi, non solo internamente ma a clienti e fornitori, sfruttando gli standard tecnologici.


I quattordici partecipanti all’Agora Club si sono misurati anche su questo aspetto, facendo emergere come le SOA siano una risposta a un mondo in evoluzione: cambia il contesto in cui l’azienda opera, cambiano i competitor, gli strumenti tecnologici, le competenze, i manager, il posizionamento strategico. Quindi, anche i sistemi informativi non possono rimanere uguali. Ci sono sollecitazioni di varia natura che spingono verso il cambiamento e la sua gestione, l’efficienza dei sistemi, l’economicità e la velocità di risposta; bisogni con cui le SOA sono coerenti.


«Nell’obiettivo di trovare uno standard di comunicazione, l’integrazione tramite SOA– ha precisato Sonia Bertocco – ha senso solo se ha valenza economica, altrimenti decade, anche se è tecnicamente valido. Nella standardizzazione dei processi interni, un approccio di questo tipo sarebbe antieconomico, mentre stiamo cercando di standardizzare quelli in uscita, tanto che siamo in fase di test congiunto per un progetto pilota su una nostra società del gruppo per creare un flusso di informazioni bidirezionale. Per superare le resistenze, bisogna dimostrare con fatti concreti la validità di una soluzione, visto che l’imposizione non è mai premiante».


Nelle SOA crede molto anche Alberto Ostorero, pur riconoscendo che il percorso verso il traguardo finale è ancora abbastanza lungo. «La riutilizzabilità dei servizi è fondamentale, ma attualmente gli standard che consentono di supportare la “reliability” e la transazionalità non esistono ancora. Nel colmare temporaneamente le lacune, bisogna poggiarsi sugli investimenti già fatti e ragionare in ottica futura per non trovarsi costretti, dopo pochi mesi, a dover affrontare nuovi costi e nuovi problemi. Non si diventa SOA compliant da un giorno all’altro. Se anche l’It ragiona in termini di servizi da mettere a fattor comune, ma poi chi è responsabile del business non “abbraccia” l’idea di ragionare per processi e servizi, i vantaggi delle SOA rimangono molto limitati. Procediamo quindi prestando attenzione all’evoluzione degli standard e teniamo in conto che per supportare i processi di business bisogna essere in grado di gestirli e monitorarli». Anche per Paolo Baldelli, «la riusabilità dei servizi è uno dei temi importanti emersi negli ultimi anni», così come per Lorenzo Cecchi «le SOA servono ad accelerare l’integrazione e a difendere l’investimento». Un rischio, come evidenziato da Paolo Torelli, è quello della ridondanza dei Web service, che devono poter essere utilizzati dall’intera struttura, fatto questo che però «potrebbe comportare problemi di governance».


Fondamentalmente, comunque, che le SOA siano adottate per processi interni o verso l’esterno, serve un cambiamento di mentalità e il supporto del board in questo frangente è molto importante, per non limitarsi a vivere una moda tecnologica. Anche se bisogna smitizzare il fatto che l’It sia la vera fonte d’innovazione. E su questo tutti i partecipanti all’Agora Club si sono detti d’accordo, insistendo sul fatto che, talvolta, le resistenze provengono proprio dai tecnici dell’It, ai quali è difficile far cambiare approccio.


Con le dovute precisazioni. «Non si possono mettere tutte le aziende sullo stesso piano – ha detto Federico Zuin -. È normale che aziende orientate all’It o alle telecomunicazioni abbiano al loro interno delle strutture tecnologiche molto attive. Indipendentemente dalla tipologia di impresa, però, l’It è fondamentale». Sulla stessa falsariga è anche Giovanni Prandini, che specifica come non si debba perdere di vista il ritorno sull’investimento, globalmente e non solo sui singoli progetti, che sempre più spesso si incrociano. Bisogna rendere le idee economicamente quantificabili, anche per quegli aspetti che, di per sé, non lo sarebbero. Perché è il soldo che comanda. Nella sostanza, comunque, il vero limite alle SOA è che il management ha problemi di gestione molto più ampi di cui occuparsi».

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