Il Consiglio d’Europa fa marcia indietro sul cybercrimine

Appena terminato, il progetto di prima convenzione internazionale sulla cybercriminalità è stato prontamente rinviato ai propri estensori. Il documento, elaborato su stimolo del Consiglio d’Europa, ha suscitato fin dall’inizio, infatti, l …

Appena terminato, il progetto di prima convenzione internazionale
sulla cybercriminalità è stato prontamente rinviato ai propri
estensori. Il documento, elaborato su stimolo del Consiglio d’Europa,
ha suscitato fin dall’inizio, infatti, le critiche di diverse
associazioni per i diritti degli internauti, che lo hanno accusato di
"rallentare la libera circolazione delle informazioni e delle
idee"
, oltre che lesivo delle norme di protezione dell’individuo.
Pertanto, l’organismo continentale prevede di pubblicare, la
settimana prossima, una nuova versione che intende "chiarire i
passaggi che hanno condotto a una cattiva interpretazione del
testo"
. Le autorità incaricate di negoziare il trattato, la cui
edizione definitiva dovrebbe essere pronta il mese prossimo, hanno
ricevuto non meno di 400 e-mail di protesta (provenienti da almeno 35
associazioni), dopo la pubblicazione della ventiduesima versione sul
sito Web del Consiglio d’Europa, nell’aprile scorso.
La convenzione si propone di armonizzare le leggi internazionali
contro la pirateria, la frode finanziaria, l’uso di virus e la
pedofilia su Internet. Il Consiglio d’Europa ha iniziato a lavorarci
nel maggio del ’97, per poi diventare il naturale prolungamento delle
più recenti conferenze
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del G8; 010; A; 15-05-2000
x-fine-link
. Per questo, si sono aggiunti alle delegazione europee anche
rappresentanti di Usa, Canada e Giappone.
Le reazioni, come detto, non sono mancate. Ad esempio, il Gilc
(Global Internet Liberty Campaign), che raccoglie rappresentanti di
molte nazioni, ha precisato che l’intento di bloccare la pirateria
espressa nel documento, potrebbe tradursi in una criminalizzazione
delle tecniche e dei software oggi usati per rendere i sistemi
informativi più protetti dagli attacchi esterni. La disposizione,
inoltre, impone ai fornitori d’accesso di memorizzare i dati
concernenti i propri clienti e ciò può rappresentare una violazione
della privacy, oltre a essere un mezzo per identificare dissidenti o
perseguitare minoranze.
Va anche detto che né i testi del Consiglio d’Europa né le
dichiarazioni del G8 hanno un carattere vincolante per i governi
locali e la lotta vera alla cybercriminalità è ancora lasciata
all’iniziativa dei singoli stati. Sembrano gli inglesi i più attivi
su questo fronte, visto che il 13 novembre hanno lanciato un progetto
da 41,8 milioni di euro destinato ad aiutare la polizia nella lotta
alla cybercriminalità.

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