Il computing va migliorato perché è fragile

Il capo ricercatore di Sun, John Gage, traccia il solco degli sviluppi di network e autonomic computing: servono per dare l’affidabilità che ora non c’è.

2 settembre 2003

All’European Technology Forum di Londra, il capo ricercatore e orchestratore dell’ufficio scientifico di Sun, John Gage, ha messo tutti in guardia circa la debolezza intrinseca dei dispositivi tecnologici attualmente in uso, smorzando, anche, la carica emotiva che c’è attorno all’autonomic computing, che nasconderebbe un’instabilità di base attuale.


Questo, in sintesi, l’intervento del garrulo giramondo di Sun, che da buon ricercatore può permettersi il lusso di dire e provocare, perché ha la scienza dalla sua parte.


Le cose che ha detto suonano all’incirca come un invito a prendere seriamente la progettazione e il test dei dispositivi informatici.


Acqua al suo mulino, certo, ma come dargli torto?


L’osservazione da cui è partito è quella che, visti i trend attualmente in corso, decreta un cambiamento nell’utilizzo delle infrastrutture di rete entro i prossimi dieci anni. Forse anche meno.


Già adesso, ha osservato Gage, l’80% del traffico di rete (tutte le reti, anche quelle cellulari) è fatto da immagini. Le persone dispongono di fotocamere digitali da 5 Megapixel e di reti a 54 Megabit su cui farle correre.


Questo è un esempio dei tempi, ha sostenuto Gage, caratterizzati dalla simbiosi uomo-macchina. Una cosa agognata sin dagli albori del computing degli anni 50.


E questa simbiosi è anche la radice di ciò che oggi si chiama la ricerca dell’autonomic computing, cioè di un’architettura fatta da sistemi che si organizzano e gestiscono da soli per funzionare bene.


Proprio il fatto, ha detto Gage, che si stia puntando a creare dispositivi e reti auto-configuranti, rivela il timore che, in fondo, tutta l’architettura attuale sia instabile, che abbia bisogno di acquisire punti in fatto di affidabilità.


Per estrema provocazione, si può desumere, seguendo il filo logico di Gage, che la struttura attuale sia fatta da componenti fragili.


E il volere contrastare questa fragilità porterà a costruire, nei prossimi dieci anni, dispositivi e reti che, alla fine, diventeranno autonomi e autonomici. Tanto da spostare il concetto di fragilità dalla macchina (fragile lo è adesso) all’uomo che la utilizzerà (fragile lo sarà domani), che sarà spinto a chiedersi “ma la macchina sta facendo, da sola, la cosa giusta?”.


Le strade da seguire, in fatto di tecnologia pura, secondo Gage, saranno quelle del computing quantico e della nanotecnologia.


Su questo piano, peraltro Sun ha già preso una posizione commerciale, sin dal 2000, quando alla Java Conference Bill Joy preconizzò la realizzazione di dispositivi basati sul computing molecolare, piccoli e capaci di grandi memorizzazioni.


Con, ovviamente, Java a bordo.

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