Da una recente indagine effettuata da Idc, si intuisce che le implementazioni efficaci sono ancora piuttosto rare, anche se il mercato nel complesso è in crescita.
Si rafforzano le strategie software che mirano a ridurre il rischio di crash e arresto di sistema negli ambienti informatici mission critical. Le ultime novità arrivano sia dal versante Windows, sia dal sempre più aggressivo concorrente Linux e si concentrano sul cosiddetto clustering, l’arte di far dialogare due o più server dal costo relativamente contenuto per raggiungere gli stessi livelli prestazionali di macchine molto più evolute e costose. Il problema del clustering, un concetto di estremo successo, è la grande difficoltà nel realizzare soluzioni perfettamente funzionanti. Microsoft sperava di ottenere grazie al clustering quel margine di vantaggio competitivo che avrebbe fatto pesare favorevolmente le economie dell’ambiente Windows sull’affidabilità a caro prezzo di Unix. Da una recente indagine effettuata da Idc, si intuisce che le implementazioni efficaci, in entrambi i campi, sono ancora piuttosto rare. Quest’anno le aziende spenderanno circa 6 miliardi di dollari in prodotti di clustering, 4 dei quali concentrati sulle realtà Unix. Ma nel 2005 la spesa raggiungerà i 14 miliardi di dollari e Windows dovrebbe crescere più in fretta, pur rimanendo al di sotto della soglia del 50% di quota mercato. I prodotti che cercano di rendere più utile e pratico il clustering cominciano a farsi strada. Nsi Software per esempio ha appena rilasciato la nuova versione del suo GeoCluster, un programma che permette a un server Windows di assumere il controllo di un server remoto. Un’altra azienda che cerca di spingere su un livello superiore le funzionalità di clustering è la Steeleye, con il suo ultimo nato SteelEye Disaster Recovery, in grado di supportare le soluzioni di messaggistica e Web serving di Microsoft e i database di Oracle. Per quest’ultimo prodotto, per ora disponibile solo su server Windows, è previsto nel 2002 il supporto di Linux.