Il ceto medio traino per le Pmi

Il consueto rapporto Unioncamere-Istituto Tagliacarne offre una nota di ottimismo

E’nato un “ceto medio” dell’impresa manifatturiera
che ha reagito positivamente al difficile ciclo economico , accrescendo il proprio fatturato e gli addetti. Il consueto rapporto Unioncamere-Istituto Tagliacarne fa filtrare un raggio di luce sulla situazione delle piccole e medie imprese della Penisola privilegiando alle consuete analisi sul declino una nota di ottimismo che ipotizza una funzione positiva da parte del “ceto medio”che “soprattutto se supportato da politiche di sostegno adeguate, potrà esercitare un effetto traino nei confronti delle imprese minori”.


Secondo il rapporto nel 2003-2004, un nucleo di
piccole e medie imprese ha reagito al rallentamento economico elaborando
strategie fortemente competitive. Queste aziende, identificate dal Rapporto Pmi
2004, si contraddistinguono per una elevata capacità di sostenere la
sfida dei mercati internazionali

, per il frequente collegamento in reti d’impresa formali (gruppi) o informali (accordi di collaborazione), per una spiccata propensione all’innovazione di processo e di prodotto.
95mila imprese manifatturiere (il 20% del totale), di cui 3.128 con 100-199 addetti e 2.054 con più di 200 addetti; 65mila di queste imprese sono esportatrici abituali: ad esse si deve il 47% dell’export
italiano; il 19% delle 95mila aziende è costituito da società di capitale (erano il 16,5% nel 1995); 35mila sono organizzate in gruppo (16.794 sono capogruppo).

Sul fronte opposto, all’interno del sistema manifatturiero si riconosce con chiarezza un secondo gruppo omogeneo di imprese, definite “unicellulari”. Queste aziende rappresentano il
42,7% del tessuto imprenditoriale italiano (320mila imprese su circa 750mila
aziende manifatturiere), hanno meno di 10 addetti, un giro d’affari inferiore ai
300mila euro, forma societaria individuale o di persona. Nella maggioranza
operano nei settori tradizionali
del made in Italy (alimentare, bevande e tabacco; tessile e abbigliamento; pelli, cuoio e
calzature; legno e mobilio).

“Ceto medio” e imprese unicellulari si collocano agli
estremi opposti di una ipotetica graduatoria della competitività, misurata in
termini di crescita del fatturato e dell’occupazione nel 2003-2004 e di
previsioni per il 2005. Il saldo tra imprese manifatturiere che dichiarano di
aver accresciuto il proprio fatturato nel 2003 e imprese che sostengono che esso
sia diminuito è in media negativo (-4,3%). Questo andamento, però, è il frutto
di una performance negativa delle microimprese con 1-9 dipendenti (il saldo è pari a -7,6%). Le imprese di dimensione superiore segnalano invece incrementi (lo dichiarano l’11,6% di quelle con 10-49 dipendenti e il 12,9% di quelle con 50-250
dipendenti).
Per il 2005, il saldo tra previsioni di crescita e attese di diminuzione è pari a +8,9 punti percentuali. Sulla media incide negativamente la forte cautela espressa dalle microimprese (+3,9% il saldo per questa dimensione aziendale). Diversa la situazione per le dimensioni maggiori: il saldo è pari a +22% per le imprese con 10-49 dipendenti e a +33,3% per quelle con 50-250 dipendenti.

Messe alla prova dalla crescente competizione internazionale,
le piccole e medie imprese manifatturiere italiane hanno reagito in maniera
differenziata alle difficoltà. Il ceto medio, in particolare,
mostra di aver creduto più dell’impresa minore in alcuni
fattori chiave per la competitività: qualità, innovazione e legami di
collaborazione con altre imprese. In particolare, l’indagine evidenzia che la
qualità dei prodotti viene tenuta in alta considerazione dalle nostre imprese e
considerata anche un valido strumento di difesa dalla concorrenza delle
produzioni a basso costo provenienti soprattutto dai Paesi emergenti.


Questo orientamento alla qualità interessa circa il 34% dei piccoli e medi
imprenditori italiani, i quali ritengono che i propri prodotti siano pertinenti
ad una fascia di mercato alta o medio-alta. Tuttavia questa attenzione alla
qualità, che si traduce in produzioni di fascia medioalta, è più presente nelle
medie imprese che nelle imprese unicellulari. I due terzi dei piccoli e
medi imprenditori considerano l’innovazione un fattore determinante

nella competizione nazionale ed internazionale. La percentuale però varia tra imprese unicellulari e medie imprese: l’innovazione è fondamentale per il 52,4% delle imprese unicellulari a fronte del 73,9% di quelle medie. Dall’indagine emerge anche una sorta di disallineamento tra opinioni espresse e innovazione effettivamente introdotta. Infatti, nel 2001-2002, solo il 40,2% delle imprese unicellulari e il 65,2% delle medie ha effettivamente investito in questo senso, introducendo innovazioni di processo o di prodotto.

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