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Quando l’It parla alla macroeconomia ci va giù piatta e fa bene a farlo.

Roma: Federcomin ha bacchettato la Pa italiana, nel contesto del suo Forum
celebrativo. Lo ha fatto, tramite il suo presidente, Alberto Tripi, che ha
rilevato il ritardo degli investimenti di e-government nazionali rispetto
all’Europa: in media in Italia si spendono 13 euro a cittadino, contro i 101
della Svezia o i 32 della Francia.

Tripi ha anche ripuntato l’indice (lo
aveva già fatto, ma in modo meno conclamato) contro le società pubbliche di
servizi It, che sono cresciute solo grazie alla loro posizione di privilegio (e
a che prezzo: ogni addetto guadagna, mediamente, quasi il doppio di quello del
settore informatico privato).

Traduciamo: facile fare business sotto
l’ala protettiva della politica.

Milano: illustrando cosa accadrà al
mercato It nazionale nei prossimi anni (in sintesi: si crescerà con il software,
meno con gli auspicabili servizi) Idc ha fatto luce su un malvezzo: quello
dell’abuso, spesso acritico, della parola Pmi.

Giungendo, non per
paradosso, ma con spirito di concretezza, a invitare a riconsiderare sia il
termine, sia l’oggetto.
Se necessario, anche a riformularlo.

Cosa è
una Pmi, effettivamente? Non è che il termine, tanto gustoso e promettente, ci
allontana dalla realtà nel momento stesso in cui lo si pronuncia, fuorviando chi
intende realmente produrre qualcosa?

Queste sono le questioni,
condivisibili, messe sul piatto dalla società di analisi. Vien fatto di pensare
che possa essere stato il cambio politico a stimolare l’uscita allo scoperto dei
detentori del sapere, che in un modo diretto, presentano i nodi da sciogliere,
primo fra tutti quello degli slogan inutili.
Da questa piccola tribuna,
arriva un sostegno, altrettanto modesto per massa critica, ma convinto.

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