Il call center verso l’outsourcing

Una ricerca di Eurisko (commissionata da Acroservizi) conferma la tendenza delle aziende a ricorrere a partner commerciali esterni per gestire un’area strategica

La presentazione, da parte di Acroservizi (azienda di servizi di call
center in outsourcing), di una ricerca commissionata a Eurisko volta a
individuare e definire i tratti salienti e gli orientamenti delle Pmi e delle
grandi imprese italiane rispetto alla domanda di servizi di call and contact
center, ha permesso di fare il punto sulla situazione di un settore
caratterizzato da un consistente tasso di crescita. La ricerca si è basata su
oltre 700 interviste a manager e consulenti di aziende primarie del settore
della grande e della media impresa. Uno dei punti principali emersi è
l’attenzione ai segnali e ai bisogni dei clienti come elemento di
fidelizzazione. Sotto questo punto di vista il call center è percepito come un
elemento strategico, oltre che adatto a fornire informazioni, assistenza e
implementare la promozione e la vendita di prodotti e servizi. «Acroservizi
fin dalla sua nascita, nel ’96
– ha commentato Ambrogio Pozzi, presidente
della società e anche di Assocallcenter – ha subito compreso l’esigenza
delle aziende di disporre di call center dotati di una struttura tecnologica
all’avanguardia e di alto contenuto professionale. Questa ricerca conferma il
nostro impegno e strategia in questo mercato e sottolinea la volontà di offrire
servizi in grado di soddisfare le esigenze attuali e future sia delle Pmi sia
dei grandi player
». Pur in un generale quadro di accettazione, se si
esaminano i dati della ricerca emerge comunque una differenziazione tra la
grande e la media azienda. Le grandi imprese si rivolgono ai provider di servizi
di call center in una logica di “appoggio”, perché i costi sono più bassi e
offrono una maggior flessibilità in termini di adeguamento del servizio. Non
stupisce, quindi, che i più richiesti siano i servizi di primo livello (che sono
i più soggetti, in termini di esigenze di personale, alle mutevoli esigenze del
mercato) e quelli caratterizzati da un minor livello di competenze specifiche.
Un approccio di complementarietà e per servizi di primo livello è, forse, alla
base del fatto che la ricerca di Eurisko ha evidenziato che non esistono nomi di
provider radicati e noti al mondo delle aziende, anche se tutti conoscono alcuni
degli operatori presenti. Si è in presenza, in sostanza, di un mercato ancora
“unbranded”. Diverso è il discorso se ci si sposta nel settore delle Pmi. Queste
società, attrezzate con call center interni di circa 20 postazioni, dimostrano
un buon interesse per l’outsourcing, ma quello che emerge è che la dimensione
del provider del servizio a cui si rivolgono ha, in genere, la stessa dimensione
delle strutture interne. In questa fascia di utenze, quello che assume il ruolo
primario nella scelta di rivolgersi al provider è il fattore costo. Il problema
è però attuale, perché circa il 10% delle società intervistate si sta ponendo
già da ora la domanda se operare in base al “make or buy”. Se dal quadro di
accettazione generale si passa alla tipologia dei servizi, emerge una netta
separazione tra quello che veniva richiesto solo un paio d’anni fa e quello che
viene richiesto ora.
Una ricerca realizzata da Datamonitor evidenzia che il
semplice servizio telefonico passerà dall’87% a poco più del 60% entro il 2003
mentre si prevede un aumento dell’e-mail dal 6% a oltre il 27%, con il restante
10% coperto da quote crescenti di VoIp, text chat e collaboration. Il quadro
mostra, quindi, una crescita di servizi a valore aggiunto e in linea con la
diffusione di Internet e applicazioni convergenti.
Ma quale può essere sul
mercato dei call center la diffusione di nuove tecnologie? Dalla ricerca non è
emerso, infatti, quale impatto potranno avere le nuove tecnologie e, in primis,
il rilascio che sta avvenendo in questi mesi, di piattaforme evolute di Ip Pabx
dotate di funzionalità integrate di Pabx, call center e messaging. Se
analizziamo il contesto aziendale si può osservare che buona parte
dell’installato è ancora basato sulle tecnologie Tdm classiche e i Pabx sono di
tipo convenzionale in termini funzionali, cioè si occupano solo della voce.


La spinta tecnologica
Una tale realtà d’installato
obbliga a rivolgersi a provider esterni che sono dotati di tecnologie più
evolute, con un rapporto prestazioni/costo nettamente più basso. I recenti
rilasci stanno però cambiando profondamente questa situazione. Le piattaforme
ora disponibili integrano funzionalmente una serie di servizi e, in primis
quelli di contact center e di messaggistica unificata, e rendono più accessibile
pensare ad applicazioni sviluppate internamente. Una tale realtà interessa
comunque le Pmi, perché, come emerso dalla ricerca, i motivi per cui una grande
azienda si rivolge a un provider non sono principalmente di tipo economico. Un
altro fattore che potrebbe influire sulle previsioni deriva poi dalla diffusione
di soluzioni convergenti di business communication. Se dare in outsourcing
servizi tipici di primo livello, sostanzialmente asincroni rispetto alle
attività aziendali, è relativamente semplice in un quadro tecnologico
caratterizzato da una netta separazione tra voce, dati e applicazioni. Maggior
criticità si ha quando le applicazioni aziendali finiscono con l’essere tutte
fortemente correlate, come consentito da soluzioni di business communication di
nuova generazione in cui è possibile far confluire applicazioni che vanno dal
Crm all’Erp, e così via. Estrapolare una quota dell’applicazione da
esternalizzare potrebbe essere difficile o risultare del tutto impossibile.

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