Il 2.0 richiede una guida aziendale

I classici processi burocratici possono convivere con la snellezza del social networking, senza disgregare le gerarchie. Servono però esperti dei punti-chiave aziendali.

Il 2.0 in azienda conviene ma non è ancora ben noto ed inquadrato a tutti i livelli, per cui molto spesso vincono le naturali resistenze all’innovazione. È questo il retropensiero che sembra trasparire da “Hr Executive’s Guide to Web 2.0: Cracking the Code for Talent Management”, un’indagine di Aberdeen rilasciata a giugno 2009. Ad essa abbiamo già dedicato un primo articolo che individua nel talent management un’area di successo, dove le nuove tecnologie trovano una naturale collocazione, senza l’assillo di confrontarsi con metriche collegate al Roi, return on investment.
L’obiettivo di Aberdeen è stato eminentemente pratico: esaminare parecchie aziende (oltre 200) con interviste a 500 manager per profilare un 20% di aziende virtuose il cui comportamento nei confronti dell’innovazione del social networking fosse un esempio da verificare ed eventualmente implementare.

L’idea fondante è che la struttura piatta imposta dal 2.0 e la gerarchia insita nei processi aziendali possano coesistere in varie parti della gestione aziendale, com’è il caso della gestione del personale o talent management che dir si voglia. Sarà però necessaria una strategia: analizzare la struttura dei processi esistenti, localizzare i punti sui quali intervenire, affidarsi ad esperti specifici per sviluppare il necessario ripensamento dei processi grazie alla scelta di tool 2.0 opportuni e quindi verificare i risultati ottenuti con metriche e surveys interne.

In questo articolo stiamo parlando della gestione del personale. Entrando nel dettaglio, in questo articolo diamo un’occhiata ai “requisiti” filosofici (tre) e strumentali (due). Il quadro complessivo è dunque articolato su cinque punti-chiave: processi, organizzazione, conoscenze, tecnologie e prestazioni. Va subito detto che per questi requirements la matrice dei risultati identifica con chiarezza il gruppo delle aziende più virtuose, mentre gli altri due livelli, quello medio e quello arretrato, risultano poco differenziati.

Gli elementi più stimolanti di questa parte dell’indagine si trovano all’inizio e alla fine, quindi tra i processi e le prestazioni. Due elementi, uno filosofico ed uno strumentale, che sono le due aree meglio caratterizzate di questa sezione della survey.

Gli esperti-guida per il Bpr 2.0
Il primo e più importante elemento è l’identificazione degli esperti-guida. Prestano attenzione a questo punto-chiave il 61% delle aziende di prima fascia, contro il 31% nella seconda e il 24% nella terza. La maggior differenziazione è che i primi della classe hanno studiato una metodologia per identificare gli esperti di argomenti specifici.
Si sta parlando di svolgere un Bpr, business process reengineering, mirato in chiave 2.0 e controllato nel contesto aziendale. E’ necessario stabilire criteri chiari per definire la competenza in più aree e quindi avviare processi che li applichino. Alcune soluzioni integrano tool che tracciano la competenza nel sistema grazie a strumenti analitici (principalmente il tagging) che controllano l’attività nel sistema e la rilevanza delle informazioni inserite dalla base degli utenti.
È ovviamente possibile recuperare le informazioni sull’expertise in altro modo rispetto a tool integrati, come possono essere tool esterni o osservazioni meno informatizzate, ma anche un mix di valutazioni.

Controlliamo le prestazioni percepite
Ed eccoci alla misurazione delle prestazioni. È questo un argomento tradizionalmente ostico in informatica per la difficoltà di convenire su metriche standard. In questo caso la difficoltà è acuita dall’apparente impossibilità di conciliare metriche esterne semplici e poco variabili, tipicamente proprio il Roi, con i miglioramenti nel rapporto qualità/prezzo dei processi interni. Che la metrica sia semplice o complessa, la valutazione delle prestazioni è sempre uno degli argomenti più difficili da portare anche in azienda.
Non a caso le aziende ascoltate nell’indagine Aberdeen usano molto poco questa valutazione. Lo strumento scelto è un’indagine interna, ma le aziende diligenti la fanno almeno annualmente solo nel 37% dei casi, quelle meno diligenti appena nel 12%. Nonostante questa scarsa presenza la valutazione dei risultati, in questo caso dell’efficacia del 2.0, va tenuta in grande considerazione: è essenziale nella taratura dei rinnovati processi aziendali che inglobano il 2.0 secondo le necessità aziendali e le direttive degli esperti-guida.
Va detto che il disinteresse all’adozione di metriche si amplia soprattutto nell’adozione di nuovi paradigmi, com’è oggi il social networking nelle aziende. Ma anche se è molto difficile collegare direttamente le metriche 2.0 ai risultati aziendali, è importante partire nell’integrazione dei nuovi strumenti nei processi, possibilmente senza sviluppare progetti pilota a sé stanti.
Ecco che potrebbe diventare sensato un approccio a due stadi: una fase iniziale le cui metriche riguardino i tool, per poi evolvere in metriche dirette sull’attività quali riduzione dei costi e miglioramenti di produttività.

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