Idc fotografa Linux in Italia

La società di ricerca ha reso noti i risultati di uno studio condotto nel nostro paese, su un campione di 150 aziende di varie dimensioni e appartenenti a diversi settori. Per tastare il polso di un fenomeno che non può più dirsi “di nicchia”

In Italia, Idc stima che il giro d’affari dei server Linux raggiungerà i 254 milioni di euro nel 2010 (nel 2005 il fatturato generato è stato di 125 milioni, in crescita del 22,4% rispetto all’anno prima).

“Tecnologie come Apache, MySql e JBoss stanno lentamente facendosi strada all’interno delle organizzazioni di tutti i livelli dimensionali – sostiene Enzo Viola, general manager e group vice president di Idc Southern Europe -. Sebbene meno mature e diffuse rispetto a Linux, le soluzioni applicative basate sull’opensource stanno guadagnando credibilità come valida alternativa o complemento al software commerciale”.

Linux non si può più definire un fenomeno di nicchia in Italia. Lo “sdoganamento” emerge dall’analisi dei dati di una ricerca condotta da Idc su un campione di circa 150 imprese di dimensioni variabili da 20 a 1.000 dipendenti, suddivisi tra i settori del commercio, industria, servizi e Pa.
La ricerca era tesa a valutare il livello di adozione e utilizzo di Linux e applicazioni opensource, la tipologia degli approcci di gestione (sostituzione o coabitazione) dei sistemi operativi installati, l’analisi dei costi e l’utilizzo dei servizi “di contorno”.

Il 27% degli intervistati (classificati come Linux adopter) ha deciso di implementare il sistema operativo del Pinguino (in crescita rispetto al 24% rilevato nel 2005), considerato più sicuro e affidabile oltre che in grado di assicurare indipendenza dalle politiche di prezzo e licenza dei vendor.
Della rimanente parte del campione, il 6% sta conducendo studi di fattibilità e valutazioni dei costi e dei benefici relativi, lo 0,7% ne prevede l’adozione entro i prossimi 12 mesi, mentre il 10,7% degli intervistati (e questo è un dato piuttosto allarmante) non conosce questa tecnologia.

Quanto alle industrie, la maggior adozione di sistemi Linux e opensource si riscontra presso la Pubblica amministrazione (44%) seguita dai servizi (32,5%) dall’industria (21,8%) e dal commercio (13,3%).

Le ragioni che spingono all’adozione di Linux sono, nell’ordine, i costi di licenza ridotti o assenti, la maggiore stabilità del sistema operativo e il miglior rapporto prezzo/performance. Seguono a distanza le migliori funzionalità e i ridotti costi di manutenzione e supporto, oltre ai risparmi di costo relativi all’hardware.
Tra gli ostacoli, invece, la scarsità di risorse formate espressamente sull’Os del Pinguino è ritenuto lo scoglio principale, seguito dalla ridotta disponibilità di applicazioni e dal maggior costo medio degli esperti, così come dalla carenza di supporto percepita.
Proprio in riferimento a quest’ultimo punto, è emerso uno scollamento sostanziale tra domanda e offerta.
Tradizionalmente, i servizi che hanno accompagnato la diffusione di soluzioni opensource sono quelli tipici della manutenzione, del supporto e del training. Ancora carenti sembrano, invece, in Italia, i servizi di consulenza e integrazione sistemica di alto livello e lo sviluppo di offerte ad hoc. Il campione, infatti, ha valutato in 2,23 (su una scala di gradimento che va da 1, per esprimere una qualità molto bassa, a 5, per una valutazione di qualità molto alta) la bontà dei servizi offerti in ambiente Linux e 2,15 quella dei servizi offerti sulle applicazioni opensource.

Molta strada, quindi, dovrà essere ancora fatta per migliorare la qualità (e la percezione relativa) del supporto sugli ambienti “aperti”. “Il perché è presto detto – ha concluso Viola -. Il mercato italiano è ormai maturo a sufficienza per non accontentarsi più di servizi basic. È arrivato il momento di potenziare le competenze e moltiplicare gli sforzi, per soddisfare le aspettative di clienti sempre più esigenti”.

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