I software cooperano con l’intervento dell’Eai

L’integrazione applicativa spalanca le porte a nuove scelte architetturali, per dare risposta ai diversi problemi dell’It in azienda

L’Enterprise application integration (Eai) consiste nella possibilità di combinare diverse applicazioni all’interno di una “federazione”, in modo da farle cooperare tra loro. Oggi più che mai, questa risulta una necessità stringente per le grandi organizzazioni che, negli anni scorsi, hanno investito pesantemente in gestionali, Crm (Customer relationship management) e intelligenza diffusa (Bi). Tutte queste soluzioni sono, infatti, in grado di funzionare perfettamente da sole, ma creano isole informative (silos) che, molto spesso, impediscono di “travasare” dati da un’applicazione o un database all’altro, per uniformarli e garantirne una vista unica. L’Eai nasce proprio per garantire consistenza alle informazioni immagazzinate nei diversi “anfratti” del sistema informativo aziendale, evitando inutili duplicazioni e automatizzandone l’aggiornamento. Questo è possibile grazie a tecnologie che permettono di disaccoppiare l’accesso alla base dati dall’interfaccia applicativa con la quale i dati sono esposti e richiamati. Anche se è scorretto sostenere che integrazione applicativa e Web service sono la stessa cosa, è parimenti vero che si tratta di due filosofie che, in qualche misura si sovrappongono. A livello puramente tecnologico, infatti, i Web service semplificano e rendono più economica l’integrazione applicativa. Su un piano più prettamente “di business”, inoltre, l’Eai rappresenta il punto di partenza sul quale si innesta la logica dei servizi Web, con la quale finisce spesso per convivere, all’interno di applicazioni composite. Le macro applicazioni aziendali, come Crm o Erp, impongono all’ufficio It molti sforzi di programmazione. Ecco perché, durante gli scorsi anni, si è investito molto nell’adozione di soluzioni in grado di farle dialogare tra loro, omologando i dati provenienti dai diversi database di ciascun software utilizzato in uno strato di intelligenza intermedio, il middleware. Questo approccio, attuabile secondo diverse modalità (si veda il box in basso a sinistra), è stato utilizzato in passato dalle grandi aziende come metodologia privilegiata per garantire una vista unica dei propri dati. Il middleware fornisce un’interfaccia generica, attraverso la quale tutte le applicazioni integrate possono scambiarsi messaggi, in modo da garantire un dialogo reale tra i software impiegati in azienda. Le proprietà intrinseche del middleware consentono di aggiungere o rimpiazzare porzioni di applicazioni in autonomia, senza che questo abbia conseguenze su quelle correlate nella medesima architettura. In pratica, sarà possibile supportare numerosi software con un basso lavoro di manutenzione associato. Inoltre, questo strato software è anche in grado di svolgere funzioni complesse, come la trasformazione, l’aggregazione, la separazione e la conversione di formato, sui dati in transito tra un’applicazione e le altre. Il difetto di questa scelta è dato dalla complessità iniziale di deployment del middleware in azienda, che richiede profondi interventi volti a rivedere in toto i processi di business coinvolti. L’ufficio Ict dovrà, inoltre, provvedere a convertire gran parte delle applicazioni già in uso, per fare in modo che possano utilizzare le interfacce di programmazione (Api) del mid_dleware. Un ulteriore limite è dato dal fatto che i prodotti utilizzati in ambito Eai sono proprietari, al contrario di quanto avviene per le tecnologie Soa, che fanno della standardizzazione spinta e della componentizzazione software il proprio punto di forza. L’integrazione tra le applicazioni si realizza sfruttando un sistema di messaggistica (battezzato Esb, Enterprise service bus), che si fa carico delle comunicazioni. In aggiunta a questo, il middleware offre funzionalità di routing intelligente dei dati e capacità di traduzione dei formati degli stessi. L’Eai viene sfruttata per proiettare su orizzonti funzionali nuovi le applicazioni tradizionali degli ambienti legacy, senza che si renda necessario “mandare al macero” tutto il complesso di software acquisito in passato.

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