I presupposti per fare affari in Cina

L’imprenditore italiano che desidera investire nel grande paese deve avere alle spalle una solida realtà e dotarsi di pazienza, perché i tempi di avvio sono variabili

Non è un fatto banale decidere di iniziare ad avere rapporti commerciali con la Cina. Il paese, infatti, ha leggi e abitudini molto diverse dalle nostre, per cui è necessario conoscerlo molto bene prima di muoversi, ma per storia e tradizione può essere un grande partner per una società italiana. Queste prime considerazioni vengono da Mario Zanone Poma presidente della Camera di Commercio Italo Cinese (appena riconfermato nell’incarico per altri tre anni), al quale ci siamo rivolti per avere alcuni consigli su come conviene muoversi nel grande paese.

Gli approcci, naturalmente, sono diversi in base alle intenzioni commerciali che un’azienda ha. Se si deve importare dalla Cina, bisogna sempre muoversi con cautela, cercando di identificare validi buyer o di instaurare rapporti diretti di fiducia con aziende locali, appoggiandosi anche a realtà esperte, e Zanone Poma in merito ricorda come la Camera di Commercio Italo Cinese, (che opera all’interno di Unioncamere), abbia una vasta esperienza sul campo, visto che è attiva dal 1970, in quanto è in grado di fare indagini, per conto delle aziende ed è esperta di accordi commerciali. Inoltre, dispone al proprio interno del “Centro di conciliazione”, che consente di usufruire di un servizio di risoluzione delle controversie alternativo alla giustizia ordinaria, rapido, economico e riservato.

«Infatti, se si concilia con i cinesi è più facile recuperare parte dei propri soldi – osserva il presidente -. Riguardo all’export, se oltre a vendere si vuol anche distribuire i propri prodotti in Cina, e questo sarà l’approccio del futuro, bisogna fare attenzione perché servono delle partnership e bisogna conoscere molto bene le leggi del commercio cinese che sono liberali da poco più di un anno e mezzo. A tal proposito anche la Camera si sta organizzando con degli esperti legali che entrano nel circuito delle diverse competenze. A questo punto, però, un’azienda, prima di muoversi, deve aver già chiaro in quale area vuole vendere in Cina. Oggi tutti vogliono operare su Shangai, un mercato che però ormai è troppo affollato e con sistemi distributivi che non sono tra i più efficenti della Cina. Se, invece, si sceglie la regione del Guangdong, che si trova nel sud ed è la più ricca, con 90 milioni di abitanti, è molto più facile muoversi. Oggi, infatti, è importante valutare non solo i costi della manodopera ma anche la produttività e la qualità che alcune aree sono in grado di offrire, come per esempio capire se la regione è servita dalla corrente elettrica, perché ci sono zone che l’hanno per non più di tre giorni alla settimana».

Il discorso degli investimenti in Cina è più complesso. Anche qui la Camera di Commercio ha le reti per supportare, sia soci che non, nella definizione di accordi di joint-venture, a costi sicuramente più ragionevoli di quelli spesso richiesti da avvocati internazionali, che a Pechino costano in media 400 dollari l’ora.

Per cui il presidente mette in guardia chi vuole andare in Cina in modo autonomo, senza avere una chiara visione della situazione locale, «perché purtroppo di ritorno vediamo molte imprese che si rivolgono al nostro “Centro di conciliazione” per chiederci aiuto su come conciliare e chiudere i contenziosi con i cinesi – afferma Zanone Poma -. Prima di arrivare a questo punto, sarebbe stato più saggio che all’inizio le imprese avessero avuto le idee chiare e la pazienza di sondare meglio il terreno. Per questo oggi l’associazione ha una persona a Shangai, un cinese che ha studiato alla Bocconi a Milano e su cui ho molta fiducia, che aiuta la Camera a svolgere le prime indagini conoscitive. Ma ancora questo non basta. C’è bisogno che l’imprenditore italiano, che ha l’idea di investire in Cina, abbia alle spalle un società solida, in quanto l’avventura cinese ha bisogno di tempo per essere ben preparata. I manager responsabili devono andare sul posto per farsi un’idea della situazione e dei tempi necessari, perché possono essere molto veloci, ma possono passare anche molti mesi senza vedere alcun risultato. Poi, magari, all’improvviso la situazione si sblocca. Bisogna considerare che il “ni” cinese spesso vuol dire no, mentre dietro al “sì”, quando tutto sembra essere formalmente definito, spesso si scopre che la parte sostanziale dell’autorizzazione va ancora ridiscussa nei diversi meandri. Dico questo perché anche dietro alle cose che a prima vista sembrano ben preparate, si può celare il pericolo».

In definitiva come si deve procedere? «Bisogna partire con le idee molto chiare su quanto si vuole fare e avere un timing abbastanza flessibile – risponde il presidente – per non trovarsi in situazioni difficili economicamente che spingono a scelte affrettate. Noi, naturalmente, consigliamo anche di appoggiarsi alla Camera di Commercio, che ha 37 anni di storia con la Cina e ha dipendenti di entrambi i paesi, per cui c’è un rapporto di grande rispetto reciproco. La Camera non è taumaturgica, ma ha la funzione di un appoggio classico anche come istituzione. Dico questo perché spesso abbiamo constatato che costa meno andare in Cina con il nostro aiuto, in quanto con 10/15.000 euro si può definire tutto il programma, piuttosto che appoggiarsi ai diversi studi legali, molto costosi, senza alla fine arrivare a capire da dove cominciare». Quindi, chi vuol investire in Cina deve avere obiettivi ben precisi, deve avere ben chiaro al proprio interno quali sono i punti forti che prevede di poter ottenere andando in quel paese e poi scegliere con attenzione il partner. Questa è la parte più delicata. Infatti, nel caso si decida di produrre, di chi è il know how? Se è italiano, l’azienda deve decidere chi mandare giù per controllare che tutto venga applicato correttamente, oppure può oggi ricorrere ai servizi offerti localmente da aziende italiane che svolgono questo ruolo. Una volta definiti tutti i passi della filiera, la trattativa si presenta assistita da progetti concreti, che i cinesi di solito rispettano.

«L’avventura in Cina – conclude Zanone Poma – non è più possibile, perché il sistema oggi è molto più preparato di una volta e una conferma viene dal gran numero di laureati che escono ogni anno dalle università».

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