I buchi neri della spesa spesso si chiamano “servizi”

Da una recente survey europea, emerge la difficoltà dei responsabili acquisti di esercitare un saldo controllo sulle uscite di cassa, soprattutto per alcune aree, in primis consulenza, viaggi e It.

22 marzo 2004 Sono stati 240 i responsabili degli uffici acquisti che hanno partecipato alla survey “The european spend agenda 2004”, realizzata dalla società specializzata Vanson Bourne, per conto di Ariba, e da ricercatori della London Business School. La ricerca, condotta a fine 2003 su aziende con un fatturato annuale minimo di 400 milioni di euro, appartenenti ai settori industria e servizi finanziari in Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Benelux, ha inteso studiare le modalità con le quali le imprese gestiscono i propri budget, evidenziando l’esistenza di “buchi neri” a causa di una ridotta visibilità e di uno scarso controllo.

Più del 50% degli intervistati ha ammesso di esercitare solamente una verifica minima, in particolare per quanto riguarda servizi di consulenza (52%), viaggi e trasferte (50%) e It (52%). Problemi si verificano, tuttavia, anche con i materiali diretti, i beni primari e le commodity.

Lo status quo è rappresentato da un 52% che ammette di non disporre di alcuna iniziativa in corso per padroneggiare meglio queste aree di spesa, nonostante il 70% ammetta di averne bisogno.

Una fetta di responsabilità è attribuita alla crescita degli acquisti di servizi “intangibili” e “non rintracciabili”, che determina un alone di confusione. Per una percentuale superiore al 50, la gestione dei contratti di servizio risulta essere più complessa di quella di altre tipologie, anche perché la spesa, in questo campo, può solamente essere stimata. Le sfide più impegnative in particolare, sono costituite dalla complessità e variabilità dei listini prezzi (36%) e dalla valutazione delle performance dei fornitori (34%).

Anche il sourcing è visto come un’area che presenta inefficienze (42%) pur essendo stato identificato come il settore nel quale i professionisti del procurement potrebbero conseguire i maggiori risparmi (24% dei casi). Il 38% degli intervistati ha, inoltre, affermato di avere predisposto alcune iniziative finalizzate a raggiungere questi livelli.
Interessante è, infine, il fatto che solo il 51% degli interlocutori riporta al consiglio d’amministrazione, dato che indica l’importanza ancora relativa ricoperta degli acquisti agli occhi del top management.

Il comportamento delle aziende italiane

La survey ha, inoltre, dettagliato l’atteggiamento delle imprese del Bel Paese, che dichiarano una visibilità superiore o, tuttalpiù, uguale alle sorelle europee in molte aree di spesa base, compresi i beni primari, cui, tuttavia, si contrappone una carenza per quanto riguarda la cifra destinata a It, consulting, trasferte e spese di capitale. Il controllo sugli apparati tecnologici è piuttosto scarso (solo i francesi hanno registrato un dato ancor più negativo in questa categoria), ma è proprio in tale contesto che si intravedono delle prospettive (anche se si tratta soltanto del 36%, il che significa che la maggior parte degli intervistati è soddisfatta della situazione esistente). Per quanto riguarda, invece, le restanti voci, il 36% è deciso a procedere in senso migliorativo in campo viaggi, mentre un risicato 25% pensa a dare impulso ai servizi di consulenza. Quando si tocca il tasto dolente delle decisioni concrete da prendere per conseguire i vantaggi desiderati, il 57% risponde di non avere progetti in nessuna delle aree indicate.

Servizi non rintracciabili

Poco orientate ai contratti di servizio rispetto alle altre nazioni, circa il 70% degli interlocutori locali ha dichiarato che le spese dedicate ai servizi ammontano a meno del 20% delle uscite totali, anche se i dati elaborati dal Centre for Advanced Procurement Studies mostrano che un 60% sarebbe più realistico. Tale numero testimonia ulteriormente la scarsa visibilità in quest’area, rendendo impossibile la massimizzazione dei risparmi. Rispetto a quanto indicato dalle aziende italiane, tutti i Paesi coinvolti nell’indagine (a esclusione di uno) hanno affermato che la gestione dei contratti di servizio è un’operazione difficile. Un’interpretazione derivante da questa discrepanza potrebbe essere data dalla scarsa considerazione, espressa dai responsabili acquisti nello Stivale, per i problemi connessi alla gestione della spesa per i servizi.

In termini di critica ai sistemi source-to-pay, in tutte la nazioni coinvolte, ad esclusione del Benelux, è stato “l’accesso e l’analisi dei dati di procurement” l’elemento prescelto dai più. Gli intervistati locali hanno mostrato un’enfasi diversa, dal momento che la maggioranza pensa che “il sourcing dei fornitori e il processo di negoziazione” debbano essere resi più efficienti. Ed è proprio in quest’area che, guardando ai progetti in corso, finalizzati all’ottenimento di superiori efficienze, la maggior parte degli intervistati italiani ha dichiarato di essersi attivata.

Da noi, poi, ben il 70% degli interlocutori risponde direttamente al consiglio di amministrazione, a significato che la funzione di procurement migliorerà l’efficienza e i risparmi a un ritmo più veloce rispetto alla media del resto d’Europa.

In linea con il quadro generale, infine, oltre il 40% delle società locali ritiene che siano “l’assenza di un controllo completo” o “gli acquisti irregolari” i fattori responsabili della propria incapacità nel rispettare gli obiettivi di risparmio prestabiliti. La grossa differenza con gli altri Paesi coinvolti è che le aziende italiane sostengono che il risparmio sui costi non sia possibile in quanto le “necessità sono specializzate” e per tale motivo i fornitori disponibili sono pochi. La conclusione potrebbe essere che, nella realtà, tali imprese siano focalizzate sui beni primari o sulle spese di capitale e non guardino all’insieme delle categorie di spesa esistenti, specialmente nell’ambito dei servizi.

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