Guardare all’estero come un’opportunità per far carriera nell’Ict

Un laureato, nel cercare lavoro, non deve precludersi la possibilità di valutare anche le offerte presenti a livello internazionale. Lo conferma l’esperienza di un Technical Support Manager del centro europeo di Agilent Technologies, in Germania.

Nel nord Europa batte un cuore speciale, se si guarda la concentrazione dei Tsc, ovvero dei Technical support center delle maggiori case produttrici di Ict. Il personale che lavora in questi contact center specializzati proviene da diverse nazioni ma l’estrazione professionale è più o meno la stessa: una laurea nel settore di competenza specifica e alcuni requisiti indispensabili. Oltre a un’ottima preparazione tecnica il profilo si completa con una grande elasticità mentale unita a una spiccata capacità di comunicazione e di relazione. Senza contare la volontà di staccare il cordone ombelicale con il proprio paese di origine.


Marco Zanotti, milanese di nascita e oggi tedesco di adozione, è Technical support manager di Agilent Technologies, presso l’European Field Support Center (Efsc) a Karlsruhe, nel nord della Germania. La lingua d’elezione? L’inglese, tant’è che oggi ci confessa che spesso preferisce usare questa lingua per comunicare: "Adesso che la parlo ogni giorno ho potuto rendermi conto come questa lingua metta a nudo molte delle ambiguità dell’italiano. È buffissimo, perché è un linguaggio semplicissimo e lascia spazio a molti fraintendimenti ma solo su aspetti marginali mentre il corpo centrale di ogni frase esprime senza mezzi termini il pensiero di chi parla. Quando ho una situazione ingarbugliata, descriverla in inglese mi permette di togliere di mezzo molti degli orpelli e vedere cosa ci sia di chiaro e cosa invece abbia bisogno di approfondimenti". Ci facciamo raccontare la sua attuale interessante esperienza professionale.

Che studi ha fatto e come ha cominciato la sua carriera?


Dopo la maturità scientifica, mi sono laureato in chimica industriale sei anni fa. All’inizio dei miei studi universitari, mi sembrava una facoltà che potesse offrire ottime prospettive di lavoro. Purtroppo, Tangentopoli e le sue conseguenze sull’industria italiana, hanno severamente ridimensionato la situazione, senza contare il fatto che per un anno ho dovuto assolvere gli obblighi del servizio di leva. Quando sono tornato a Milano, ho cominciato a cercare un impiego e ho subito dovuto fare i conti col fatto che la preparazione dell’università non mi avesse fornito una vera qualifica professionale. Ho mandato in giro decine di curriculum vitae: sapevo che si trattava, in ogni caso, di trovare un’azienda che fosse disponibile a investire tempo e denaro su di me. Dopo una brevissima esperienza lavorativa presso una ditta che si occupava di materie plastiche, si è presentata l’opportunità di lavorare nel ramo dell’assistenza tecnica per la strumentazione analitica di Hp a Milano".

Quali sono state le difficoltà incontrate nel passare da una piccola realtà a una più grande?


Non ci sono stati assolutamente ostacoli. L’ambiente amichevole e informale all’interno di Hp ha permesso di costruire i rapporti con i colleghi molto velocemente. Trattandosi di una multinazionale con decine di migliaia di dipendenti, il processo di assunzione e training dei neo assunti è molto rodato, e lascia davvero poco al caso: per ogni lavoro all’interno di Hp esiste un pacchetto di training predefinito. Si va da quelli di primo livello per i neo-assunti, nei quali viene spiegata la filosofia dell’azienda, a quelli più verticali dedicati a una mansione specifica, in cui vengono approfonditi gli aspetti più prettamente tecnici. Il tutto è gerarchizzato, ovvero i training più avanzati ne hanno altri che fungono da prerequisito e questo crea un piano di formazione molto ben strutturato e a lungo termine. L’addestramento del personale consente di avere risorse qualificate che generano profitto in un’ottica di time-to-market e, allo stesso tempo, offre una gratifica ai dipendenti, permettendo loro di colmare quel gap esistente tra formazione universitaria e mondo del lavoro".

Quali sono le problematiche legate al rapporto con i clienti finali, ovvero gli end user dei prodotti Agilent?


Il mercato si è allargato moltissimo e questo, per le case produttrici, ha significato rendere disponibili tecnologie avanzate anche a persone che in vita loro non avevano mai messo mano a un computer. Oggi come oggi, è sempre maggiore il numero di clienti per cui le nostre apparecchiature non sono altro che… una scatola. Il loro grado di aspettativa? Che schiacciando un bottone la "scatola" fornisca il risultato. Chi si occupa di sviluppare attrezzature perde spesso di vista questo tipo di target e crea macchine piene di bottoni, scelte, opzioni, cavi… Eppure è chiaro che il successo di un prodotto passa spesso per la sua semplicità. Un esempio per tutti? La Playstation, che in tutto possiede tre bottoni. Una volta disimballata, in 5 minuti si è già in grado di usarla. Il più modesto pc, per fare le stesse cose, richiede molto più tempo e fortuna, oltre ai requisiti minimi di sistema, devono esserci i driver giusti per la scheda video, per quella audio e via dicendo… La Playstation ha permesso a Sony di entrare in un nuovo mercato e conquistarlo, grazie a una sola caratteristica: la sua semplicità di utilizzo. Quello che manca alla cultura della progettazione odierna è un concetto tutto sommato elementare ma, allo stesso tempo, strategico e cioè che creare un buon prodotto è solo il 50% del lavoro. Il restante 50% è studiarne una semplicità di utilizzo che possa consentirne l’accesso a un mercato il più vasto possibile".

Oggi lavora come Technical support manager. Cosa l’ha spinta a cambiare lavoro?


A meno che una persona non scopra di avere la vocazione per un lavoro specifico, ovvero si senta in grado di svolgere un certo impiego per tutta la vita, è fisiologico, dopo aver acquisito un po’ di esperienza, arrivare a un punto in cui è difficile andare avanti. Paradossalmente, il rischio può essere quello addirittura di lavorare peggio. Al di là di quella che può essere la gratificazione economica, cambiare ruolo all’interno di una società è un modo eccellente di trovare nuovi stimoli, mantenendo sempre un elevato livello di efficienza. Questo Hp lo sa bene tant’è che ha al suo interno questo tipo di evoluzione professionale "trasversale" è agevolata. Nel mio caso specifico, l’opportunità di spostarmi in una filiale estera mi ha permesso anche di poter imparare cosa significa vivere in un paese straniero. Dopo un anno, posso constatare che questa è al contempo un’opportunità di crescita umana che mi sta arricchendo sotto moltissimi aspetti: in primis nel mio modo di lavorare, dove avere una mentalità molto aperta e disposta ad adeguarsi alle novità giornaliere è un fattore fondamentale".

Da tecnico a consulente tecnico: passando dall’altra parte della barricata quali sono le problematiche che sente di più?


Attualmente mi occupo di fornire assistenza tecnica telefonica a tutti i miei colleghi europei che si trovano sul campo, ovvero presso i vari clienti, e hanno bisogno di qualche suggerimento per poter risolvere problemi relativi alle nostre apparecchiature. Una problematica chiave è legata al fatto che, avendo a che fare con prodotti dall’elevato contenuto tecnologico, la mole di informazioni che occorre gestire è enorme. Ho potuto assistere in questi anni al passaggio dalla documentazione esclusivamente cartacea a supporti elettronici, come Cd o canali dedicati presenti all’interno del sito aziendale. Questo da un lato ha reso possibile mettere tutti i dati a disposizione di tutti ma, al contempo, fa aumentare il rischio di perdersi tra migliaia di manuali e pubblicazioni. Oggigiorno è di fondamentale importanza avere know how e saper comunicare, altrimenti quello che si vuol dire finisce nel mare di informazioni che le moderne tecnologie mettono a disposizione, senza però riuscire a raggiungere i diretti interessati. Un altro aspetto su cui bisognerebbe riflettere è che buona parte della gente che si occupa delle moderne tecnologie è priva di molte delle conoscenze fondamentali che stanno alla loro base. Nei paesi industrializzati il costo del lavoro è tale per cui se un componente di un pc è guasto, si provvede alla sua sostituzione in 5 minuti, piuttosto che spendere l’intera giornata a saldare/dissaldare i pezzi di una scheda. Se da un lato questo permette di far svolgere quest’attività a persone che possono anche non avere la più pallida idea di tutti i meccanismi che stanno alla base del funzionamento di uno strumento, di contro, contribuisce a diffondere un certo "analfabetismo tecnico" e questo non so dove ci porterà".

Durante il suo apprendistato ha fatto alcuni stage presso diverse realtà nazionali di Agilent. Ha notato delle differenze tra l’una e l’altra filiale?


Le differenze fondamentali sono più di colore che altro. Come ho già detto, trattandosi di una multinazionale, i rapporti tra le diverse filiali sono cosí frequenti che è possibile individuare con facilità una vera e propria mentalità che attraversa i confini dei singoli stati. In Italia ho avuto l’impressione che venga posta una maggior attenzione alla quantità del lavoro svolto dai dipendenti, piuttosto che alla qualità: la prima conseguenza è il fatto che sia comune che la gente resti in ufficio fino a tardi. Nei paesi del nord o negli Usa questo è meno "tollerato", in quanto restare al lavoro fino a tardi, se diventa la regola, significa non essere stati in grado di svolgere il proprio impiego in un tempo ragionevole. Quello che si dice dei vari popoli lo si può notare dalle sfumature. Per esempio, le differenti macchinette del caffé sono la misura più tangibile delle diverse radici delle singole filiali: gli italiani "goderecci" possono scegliere tra una ventina di bevande (dal cappuccino al latte caldo), i tedeschi "efficienti e austeri" hanno grossi apparecchi che producono quantità industriali del loro caffé lungo, gli olandesi, più "pragmatici", possono addirittura servirsi del brodo (!)…"

Rispetto all’area geografica di cui si occupa, l’approccio italiano per cosa si differenzia?


Gli italiani sanno essere molto più flessibili rispetto a qualunque altro popolo, nel bene e nel male. Infatti, se da un lato possiamo essere sicuri di trovare una via d’uscita da qualsiasi situazione, dall’altro confidiamo troppo in questa abilità e, di conseguenza, finiamo spesso per non trovare la soluzione migliore per risolvere il problema una volta per tutte. In generale, è importante affrontare le difficoltà quando sono al primo stadio, cercando di ragionare in previsione delle azioni future, cioé pensando in anticipo a quali conseguenze si potrà andare incontro. Solo in questo modo si può gestire una situazione e mantenere tutto sotto controllo. Se si parla di atteggiamenti, il buon senso farebbe pensare che la logica migliore sia quella del "prevenire è meglio che curare". Nel caso si debba affrontare un cliente che ha un problema, però, questa logica non funziona. Ecco perché è importante avere una mentalità aperta e flessibile".

Quali sono "le regole d’oro" nel suo lavoro?


È importantissimo mantenersi aggiornati. La routine non esiste se ci si occupa di strumenti complessi: settimanalmente ci sono nuovi documenti con aggiornamenti, revisioni e quant’altro. Rispetto ai nostri genitori, il ciclo di vita di ogni apparecchiatura si è drasticamente ridotto ed è necessario sforzarsi per restare al passo con le ultimissime novità. Inoltre bisogna saper selezionare cosa possa tornar utile per il nostro lavoro e cosa invece debba essere scartato. Da un lato è sfiancante, dall’altro è stimolante perché costituisce una sfida continua. È fondamentale avere una mentalità aperta: occorre svolgere il lavoro secondo le procedure esistenti ma se ci si rende conto che queste non sono efficienti, bisogna trovare il modo di migliorarle. Quindi è importante mantenere una visione locale dei problemi che si affrontano e, al tempo stesso, una prospettiva globale. Per esperienza so che, spesso, la soluzione migliore è li vicino che ci guarda, ma noi non la prendiamo nemmeno in considerazione e, se il solo pensiero ci passa per la mente, la escludiamo bollandola subito col termine "impossibile". Bisogna invece essere creativi e saper osare. Nel mio caso, quando si ha a che fare con un cliente che si ritrova per le mani uno strumento che non funziona, spesso prendere una decisione, anche sbagliata, può essere meglio che non fare nulla".

Oggi quali sono i suoi percorsi di formazione e come vede evolvere la sua figura professionale in un prossimo futuro?


A livello aziendale sono "inquadrato" nel piano di training previsto per il mio lavoro, attraverso continui corsi hardware, di troubleshooting e di project management. Personalmente sono molto curioso delle possibilità offerte dalla costruzione di siti Web e dalla programmazione in Visual Basic e Visual C, cose che seguo comunque nel tempo libero. Nel momento in cui mi accorgerò che saranno rilevanti per il mio lavoro, farò in modo di integrare le mie conoscenze con alcuni dei corsi specifici che la mia società offre. È realistico pensare che il mio ruolo, come esperto di riparazioni hardware pure e semplici, nel giro di una decina di anni non esisterà più. Visti i costi sempre più bassi dell’elettronica, è plausibile che, in casi di guasti, l’intera apparecchiatura verrà sostituita. In futuro, presumo che ci si concentrerà sulla customizzazione delle nostre attrezzature: in pratica, non ci limiteremo a fornire gli strumenti al cliente ma li adatteremo alle sue esigenze. Anche il mio lavoro andrà verso questa direzione: non si tratterà più di far funzionare una macchina quanto, piuttosto, di farle fare quello che il cliente vuole. Lo strumento che diventerà sempre più importante sarà la fantasia. Oggigiorno è l’unico limite con il quale ci si scontra quotidianamente. Le tecnologie a disposizione di tutti sono così potenti e in rapida evoluzione: però imparare a usare in maniera creativa quello che già c’è può essere altrettanto importante che inventare qualche cosa di completamente nuovo".

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