Google e la Cina: il braccio di ferro è appena cominciato

Dopo gli attacchi e i tentativi di violazione dei propri servizi, Google minaccia di lasciare il mercato cinese se non potrà operare senza censure.

La notizia, che sta facendo il giro del mondo, è di quelle destinate a suscitare infinite discussioni.

Stanca delle polemiche sulla sua accettazione della censura cinese e, soprattutto, stanca di subire attacchi ai suoi servizi o ai sistemi di aziende internazionali, Google avrebbe dichiarato, nella giornata di ieri, di essere pronta a lasciare la Cina.

La società sostiene di avere le prove di svariati tentativi di violazione del suo sistema Gmail e di analoghi gesti ai danni di attivisti di movimenti a difesa dei diritti umani.
In tutti i casi i tentativi avrebbero, secondo Google, una chiara e inequivocabile matrice cinese.
Tanto da convincere la società a una mossa che ha il sapore dell’ultimatum: non applicherà alcun filtro censorio, così come fatto finora e prende in considerazione anche l’ipotesi di lasciare del tutto il mercato, nonostante sia uno di quelli in più rapida e significativa espansione.

”Abbiamo deciso – si legge sul blog ufficiale di Google – che non abbiamo più intenzione di continuare a censurare i nostri risultati su Google.cn, per questo nelle prossime settimane incontreremo il Governo cinese per discutere le basi sulle quali potremo gestire un motore di ricerca senza filtri, nel rispetto delle leggi vigenti nel Paese. E siamo pienamente consapevoli che questo potrebbe portare alla chiusura di Google.cn e dei nostri uffici in Cina.

Immediate le reazioni, sia da parte degli utenti cinesi, sia da parte degli altri player, sia ancora a livello internazionale. Per non parlare del segretario di Stato americano Hillary Clinton che ha avanzato richieste di spiegazioni direttamente al Governo Cinese.

In Cina c’è chi trova incomprensibile l’ipotesi prospettata da Google, sottolineando che l’uscita dal Paese di fatto è una ulteriore e ancor più drastica forma di censura, così come c’è chi non accetta le accuse al proprio Paese o ancora chi trova economicamente ingiustificabile che una multinazionale possa volontariamente tagliarsi fuori da un mercato con possibilità di crescita illimitate. Molti, però, hanno salutato con favore l’ipotesi: meglio morire nella gloria che vivere nel disonore è uno dei commenti raccolti sui diversi siti locali.

A livello internazionale, sono gli stessi analisti che esprimono più di un dubbio sull’opportunità di escludersi da un mercato che sta al momento crescendo del 40% all’anno. Una tal scelta potrebbe avere limitati effetti sull’immediato, ma sul lungo periodo potrebbe rivelarsi disastrosa.

Altri, poi, sottolineano come l’uscita dall’agone di Google potrebbe però favorire altri competitor, Baidu e Microsoft in primis, con qualche vantaggio anche per le piccole realtà locali.

Ma c’è anche chi, con più realismo probabilmente, invita a prendere con le dovute cautele un annuncio che, al momento, ha più il sapore della presa di posizione che della decisione vera e propria. Per altro, sul piatto della bilancia ci sono due questioni che stanno molto a cuore a Google: da un lato il ritorno di immagine negli Usa, acconsentendo alle rigide richieste della censura cinese, dall’altro l’effetto boomerang sulla reputation dei propri servizi, qualora gli attacchi andassero a buon fine, mettendo a repentaglio sicurezza e privacy dei suoi utenti.

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