Google chiude l’affaire cookie con una sanatoria

Google non ha ammesso alcuna colpa ma ha comunque preferito versare i 17 milioni di dollari per mettere la proverbiale pietra tombale sulla vicenda.

Google verserà la somma di 17 milioni di dollari nelle casse di 37 stati americani.
L’accordo appena siglato permette al colosso fondato da Larry Page e
Sergey Brin di chiudere un caso piuttosto scomodo: Google era infatti
accusata di aver “dribblato” le impostazioni sulla privacy del browser Safari
provocando la creazione, sui sistemi e sui dispositivi degli utenti (in
primis iPhone ed iPad), di cookie traccianti utilizzati per monitorare
abitudini e preferenze dei “navigatori”.
Google non ha ammesso alcuna
colpa ma ha comunque preferito versare i 17 milioni di dollari (che
vanno ad aggiungersi ai 22,5 milioni di dollari corrisposti, sul
medesimo caso, alla Federal Trade Commission statunitense) per mettere la proverbiale pietra tombale sulla vicenda.

La bomba era stata fatta scoppiare dal Wall Street Journal
a febbraio 2012. Il quotidiano d’Oltreoceano, in un suo articolo,
evidenziò un comportamento anomalo posto in essere da Google. La
problematica era stata portata a nudo da Jonathan Mayer, un ricercatore
di Stanford, che ha fatto presente come Google avesse iniziato a gestire
i “+1” del suo social network “Plus” non più sul dominio google.com
bensì su doubleclick.net. Sia Safari che iOS contengono una funzionalità
che rigetta qualunque cookie di terze parti a meno che l’utente non
decida di interagire con un widget o di cliccare su un banner pubblicitario.
Entrambi
i prodotti offrono quindi protezione nei confronti del tracciamento
passivo ossia rispetto a quei cookie che, se gestiti da società di
grandi dimensioni, possono essere sfruttati per dipingere un quadro dei
movimenti sul web di un utente e dei suoi specifici interessi.

Spostando
la gestione dei “+1” di Google Plus dal dominio google.com a
doubleclick.net, gli ingegneri di Google devono aver realizzato che sia
Safari che iOS costituivano un elemento bloccante
“, aveva osservato Electronic Frontier Foundation
(EFF), organizzazione internazionale no-profit che si occupa di tutela
dei diritti digitali e della libertà di parola. Secondo quanto rivelato,
quindi, Google avrebbe aggiunto uno speciale codice JavaScript per
indurre a ritenere che sia l’utente, di volta in volta, a richiedere
l’interazione con i server Doubleclick. Ciò che EFF contesta è che un
simile modus operandi avrebbe indotto Safari ed iOS ad accettare qualunque cookie Doubleclick. Un’eccellente infografica elaborata dal Wall Street Journal riassume nel dettaglio l’accaduto.

EFF,
da parte sua, ha inviato una lettera aperta a Google invitando i
vertici della società a fare ammenda ed a riguadagnare così la fiducia
dell’utenza.

I tecnici della società fondata dal duo Page-Brin
avrebbero insomma fatto in modo di scavalcare le impostazioni sulla
privacy del browser Safari e degli iPhone rendendo possibile il
“tracciamento” degli utenti anche sui siti web non di proprietà di
Google. L’azienda di Mountain View ha precisato che i cookie non
venivano usati per raccogliere dati personali.

Nonostante l’affare-cookie sia costato ben 39,5 milioni, è la stessa Reuters
a ricordare una cifra su tutte: i 50 miliardi di introiti dello scorso
anno, la maggior parte dei quali derivanti dall’advertising.

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