Gli standard di interoperabilità fanno bene all’It

La “guida tecnologica” di Bmc ha spiegato perché la realizzazione di interfacce comuni verso dati eterogenei porterà valore al system management. Atrium 2.0 è già improntato alla condivisione

Il nuovo Configuration management database di Bmc Software, Atrium Cmdb 2.0, è arrivato questa estate, appena dopo che i big del settore del system management (oltre a Bmc, Fujitsu, Hp, Ibm e Ca) hanno deciso di collaborare per la definizione di specifiche comuni di interoperabilità tra i dati presenti in repository differenti. Come è noto, un Cmdb raccoglie le informazioni relative agli “oggetti” It e alle relazioni tra l’uno e l’altro, fornendo le basi necessarie al Business service management. Quanto ad Atrium Cmdb 2.0, è dotato di una nuova architettura che fa perno proprio su una migliore integrazione delle informazioni, oltre a raffinare la tipologia dei dati contenuti e il modo di presentarli graficamente alle varie applicazioni.


Nell’attesa che l’alleanza tra i big fornisca risultati, abbiamo chiesto a Tom Bishop, Chief technology officer di Bmc, di spiegarci le peculiarità di Atrium 2.0 e il significato della ricerca di uno standard comune.


«Secondo Itil, l’It deve raggiungere due principali obiettivi. Il primo è che deve esserci un legame molto più stretto con il business, il secondo riguarda un approccio maturo ai processi It. Il Cmdb gioca qui un ruolo fondamentale. Le soluzioni di It management hanno una propria vista indipendente delle configurazioni e la maggior parte dei problemi che affliggono le organizzazioni It è correlata proprio a incongruenze nelle configurazioni. Anche i nostri prodotti di gestione, sviluppati internamente o acquisiti nel tempo come Remedy, finora si sono basati su una propria vista delle configurazioni e un proprio data model. Con la versione 2.0 di Atrium, invece, tutte le soluzioni fanno leva sullo stesso data model e sulla stessa configurazione dei dati, creando molte opportunità in più per realizzare specifiche componenti sopra questo substrato comune, inerenti per esempio l’analisi e il reporting».


Quanto alla partnership tra i big dell’It management, Bishop ha chiarito che le specifiche sulle quali si sta lavorando non puntano a creare un Cmdb standard, ma a definire l’interoperabilità attraverso fonti dati federate. «Oggi per realizzare l’interoperabilità tra i vari sistemi di gestione di Ibm, Hp o Bmc – ha precisato – è necessario costruire di volta in volta adattatori specifici per tutti i componenti coinvolti, dal network allo storage ai sistemi operativi. Il problema è esplosivo. Se lavoriamo bene, ridurremo la competizione in un’area dove non avrebbe mai dovuto esserci e ci focalizzaremo su soluzioni che possano portare più valore ai clienti: sulla facilità di utilizzo di un Cmdb, su cosa si può fare con i dati contenuti e sull’implementazione dei processi».


E, con gli standard di interoperabilità, si potrebbero aprire anche nuove opportunità di mercato. Bishop ne è convinto, e cita ad esempio l’introduzione dei container nei trasporti internazionali avvenuta 50 anni fa. Da allora, con la riduzione della complessità e dei costi, il commercio internazionale è cambiato radicalmente, esplodendo.

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