Gestione virtuale. L’opinione di chi l’ha provata

Le tecniche di virtualizzazione possono spaziare in molti ambiti applicativi. Ecco tre casi di utenti che sono riusciti a semplificare e ottimizzare la gestione della loro infrastruttura It

Può trattarsi di migliorare la produttività nella progettazione di impianti petrolchimici, o di dover modellare in maniera agile e dinamica servizi telematici destinati alle banche. O, ancora, di rendere più efficienti i servizi sanitari rivolti alle comunità montane: in situazioni come queste, la scelta di virtualizzare ambienti di sviluppo, server o applicazioni sembra fornire svariati vantaggi.

Technip Italy: «Una soluzione all’obsolescenza del software»

Come engineering contractor che progetta e realizza impianti petrolchimici, Technip Italy ha usato la virtualizzazione soprattutto per risolvere il problema dell’obsolescenza della propria infrastruttura software. La società, parte di un gruppo che opera in tutto il mondo attraverso 40 sedi e 22.000 dipendenti, conta in Italia circa 1.300 addetti. «Questi progetti – spiega Marco Alderisio, Chief technology officer del dipartimento It di Technip Italy – durano tre o quattro anni e richiedono una mobilitazione di specialisti verso i cantieri remoti, anche in deserti o zone impervie, dove vengono creati centri di lavoro. Le facility remotizzate sono collegate via rete tramite tecnologie VoIp e Vpn su Internet, fanno uso di sistemi di Cad tridimensionale e si basano su software molto complessi». Si tratta di piattaforme di supporto ai progetti (sofware di e-collaboration, sistemi di gestione dei materiali, e via dicendo), prima realizzate da addetti del reparto produzione che venivano dedicati anche ad attività di sviluppo e test.

Negli ultimi due o tre anni queste piattaforme sono però diventate sempre più vecchie, complesse e costose da gestire: «Ci siamo ritrovati con il problema dell’obsolescenza del parco architetturale, che andava rinnovato facendolo migrare, ad esempio, da sistemi come Oracle 8i». Ma considerati i tempi e il costo dell’hardware necessario per far evolvere l’infrastruttura, supportata da 300 server fisici, nel giugno del 2006 Technip ha preferito adottare una soluzione di virtualizzazione, scorporando le attività di sviluppo e test in una sezione dedicata: il Development & Test Virtual Center. Un centro basato su otto blade server bi e quadriprocessore, su una San dedicata per lo storage, e in grado di gestire fino a 40 macchine virtuali su cui vengono installate le nuove piattaforme di sviluppo per creare le architetture di ultima generazione, da trasferire poi gradualmente in produzione, tramite installazione su server fisici.

Il centro virtuale ha fornito molti benefici. «Da quando abbiamo un’infrastruttura virtuale dedicata di sviluppo e test, abbiamo rinnovato moltissime architetture, aumentando a livello quantitativo la produttività del 300%, e moltiplicando i progetti. I vantaggi sono enormi, perché in modalità virtuale gli ambienti di sviluppo e test vengono realizzati in un settimana; inoltre ora c’è un team dedicato di quattro persone che riesce anche a eseguire il test di architetture molto complesse».

Sulle macchine virtuali l’installazione delle piattaforme, il test e la migrazione degli applicativi sono stati possibili senza l’acquisto di nuovo hardware, sul quale fra l’altro le stesse operazioni avrebbero richiesto tempi più lunghi. La divisione delle competenze attraverso il team dedicato evita poi di far ricadere il lavoro di test e sviluppo sugli addetti della produzione, migliorando il time-to-deliver delle nuove soluzioni.

E i prossimi obiettivi? Alderisio sottolinea come la sede italiana sia la prima del gruppo ad aver sperimentato la virtualizzazione e parla di ulteriore espansione: «L’idea è aumentare di altre cinque unità gli addetti dedicati allo sviluppo e test e, nel 2008, di partire con un’infrastruttura hardware e software più potente per supportare più ambienti virtuali. Inoltre, intendiamo cominciare ad adottare questi ultimi anche a livello di produzione, per l’infrastruttura di disaster recovery dove, in caso di avaria di un server fisico, è possibile accenderne immediatamente uno virtuale».

Sia-Ssb: «Grande flessibilità
di configurazione dei servizi»

Sia-Ssb, il provider tecnologico nato dalla fusione tra la Società interbancaria per l’automazione (Sia) e la Società per i servizi bancari (Ssb), è fornitore di servizi al sistema bancario e finanziario internazionale e afferma di essere stato tra le prime società in Italia ad applicare sia il partizionamento fisico che quello virtuale (tramite il software di virtual machine) su diversi server Unix di fascia enterprise.

Tale soluzione, avviata a inizio 2007 e completata a luglio, è stata realizzata nell’area dei sistemi centrali Unix, dislocati nella sede principale e in quella di disaster recovery. Le architetture interessano gli ambienti di sviluppo, test, collaudo, produzione e stanno mostrando vantaggi soprattutto sotto due aspetti.

Il primo riguarda la riduzione dei costi e dei tempi di realizzazione delle soluzioni e dei servizi destinati agli utenti. «Grazie all’adozione di questa tipologia di architettura e soprattutto alla virtualizzazione tramite il software di virtual machine – spiega Paolo Crosetto, responsabile Gestione Sistemi Unix nell’ambito della Direzione Macchina Operativa di Sia-Ssb – abbiamo riscontrato un risparmio diretto di circa il 20% rispetto ai costi di esercizio delle soluzioni precedenti. Con le architetture che utilizzavamo prima, tralasciando i tempi di approvvigionamento che variano a seconda del fornitore, i nostri server venivano configurati e resi operativi in settimane: adesso queste attività richiedono solo alcune ore».

Il secondo vantaggio è la flessibilità di creazione, modifica o riallocazione dei diversi ambienti e risorse. «Ci sono risparmi indiretti, in corso di valutazione, derivanti dal fatto che occorrono meno persone per gestire lo stesso numero di server e servizi – prosegue Crosetto -. Con la virtual machine si possono creare a piacimento e in modo dinamico ambienti piccoli o grandi e ciò è fondamentale per la nostra attività: abbiamo, ad esempio, ambienti di test e sviluppo che fluttuano da periodi di picco, in cui si lavora di più, con molti sviluppatori operativi a cui è necessario assegnare più risorse di Cpu e memoria, a periodi di minor attività in cui possiamo riassegnare tali risorse ad altri servizi o ambienti che ne avessero bisogno».

Allocare in modo dinamico le risorse in funzione di tali esigenze, senza dover comprare nuovo hardware o correre il rischio di dimensionarlo oltre le reali necessità, permette a Sia-Ssb di ottimizzare il rapporto tra l’efficienza e i costi dei propri servizi, facendo fronte al tempo stesso ai picchi di utenza e alla domanda di risorse elaborative che si verificano, ad esempio, in corrispondenza dell’apertura dei mercati borsistici.

La semplicità di allocazione delle risorse facilita anche l’evoluzione dei servizi. « – conclude Crosetto – spingono primari provider tecnologici come Sia-Ssb a sviluppare nuovi servizi e opportunità di business, consentendo un miglior ritorno degli investimenti e di essere più propositivi in termini di offerta». Visti i primi risultati, ora Sia-Ssb sta pensando di trasferire sull’infrastruttura virtuale anche altri servizi.

Alto Vicentino: «Si può ridurre
la manutenzione
degli applicativi sui client»

Abbastanza diverso è il caso dell’Ulss 4 “Alto Vicentino“, che fornisce i suoi servizi su un territorio di oltre 660 km quadrati, con zone pianeggianti e montane in cui vive una popolazione assistita di oltre 182.000 abitanti, residenti in due distretti socio-sanitari. Qui il problema tipico della comunicazione sull’infrastruttura It che collega i comuni e la ventina di sedi distrettuali è fondamentalmente la quantità di banda a disposizione su una rete geografica basata su Internet. A livello locale, nelle comunità montane, fino a non molto tempo fa le linee di accesso erano in tecnologia Isdn e oggi il livello di banda è al massimo quello fornito da linee Adsl a 640 kb/s. Così qualche anno fa, per superare i problemi di lentezza nell’apertura degli applicativi sulle postazioni remote e ridurre il numero d’interventi di manutenzione locali sui client (aggiornamenti software, risoluzione conflitti, e via dicendo), Alto Vicentino ha abbandonato una soluzione fondata sul modello tradizionale client-server per passare a un sistema di virtualizzazione delle applicazioni gestito centralmente e basato attualmente su cinque application server, dislocati in produzione e in grado di gestire nei momenti di punta anche 60 utenti ciascuno.

«La configurazione centralizzata – spiega Lorenzo Gubian, responsabile del servizio risorse informatiche presso l’Ulss4 Alto Vicentino – semplifica la distribuzione del software facendoci risparmiare molto lavoro, perché gli interventi si fanno sugli application server e, se vanno a buon fine, l’aggiornamento sui client avviene automaticamente senza particolari problemi». Negli anni le postazioni di lavoro sono sempre andate crescendo; attualmente sono 1.200 e con un buon impatto sugli operatori, positivamente impressionati dalla maggior velocità degli applicativi.

Per migliorare l’amministrazione dei numerosi thin client (Winterm) presenti nell’infrastruttura It, Alto Vicentino sta ora sperimentando anche la virtualizzazione completa dei desktop. I thin client possono, infatti, creare problemi nei casi di marcato interfacciamento con le periferiche e, in particolare, quando devono gestire gli svariati canali di I/O della strumentazione di analisi medica collegata (apparati radiologici, retinografi, e così via). «Qui – precisa Gubian – la soluzione di virtualizzazione del desktop è quella più solida, perché fornisce un miglior controllo delle periferiche». Se la fase pilota andrà bene, l’obiettivo per il 2008 è mettere nel budget anche questa evoluzione tecnologica.

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