Le nuove frontiere del computing ad alte performance? Fotonica e nanotecnologie. Ne sono certi in Hp, realtà che investe in ricerca e sviluppo oltre 3,5 miliardi di dollari l’anno. «Abbiamo un approccio a portfolio – esordisce Prith Banerjee, senior vi …
Le nuove frontiere del computing ad alte performance? Fotonica e nanotecnologie. Ne sono certi in Hp, realtà che investe in ricerca e sviluppo oltre 3,5 miliardi di dollari l’anno. «Abbiamo un approccio a portfolio – esordisce Prith Banerjee, senior vice president e research director degli Hp Labs -. Un terzo dei progetti è di ricerca pura, una quota paritetica è destinata allo sviluppo prodotti, con sbocchi a breve termine, mentre la quota rimanente è rappresentata da iniziative che avranno riflessi sui prodotti solo nel lungo termine. Questa distribuzione giustifica, anche sotto il profilo economico, il lavoro dei laboratori, che non sono più considerati dei meri centri di costo». Intelligenza e creatività sono capacità considerate fondamentali per i vertici della casa di Palo Alto, tanto che è stato creato anche uno strumento, battezzato The Brain (il cervello), che riesce a coordinare le esigenze dei diversi team di analisti e studiosi, centralizzando le direzioni di intervento. «L’obiettivo – dice – è quello di ottimizzare i ritorni economici delle iniziative, senza che questo vada a discapito dell’operato dei nostri scienziati».
Scienziati che non sono necessariamente quelli impiegati nelle facility Hp. Lo scorso anno, infatti, la società ha annunciato il programma Open Innovation, che mira a coinvolgere le università, i laboratori privati, i centri esterni e le startup company di tutto il mondo nel miglioramento dell’It. «C’è tanta genialità anche al di fuori dei nostri laboratori – ammette – e questo progetto ci consentirà di migliorare il trasferimento delle tecnologie al mercato, accelerando i cicli di produzione di quelle che più ci interessano e affidando all’esterno la proprietà intellettuale di quelle che Hp non intende sviluppare direttamente». Tra le prime, il podio è occupato dalla fotonica, destinata ad accelerare sensibilmente la capacità elaborativa all’interno dei supercomputer. In Hp si parla già da tempo di Zettaflop, ovvero di macchine in grado di processare un trilione di miliardi di istruzioni al secondo. «Se queste macchine fossero disponibili oggi, sarebbero grandi come la città di Parigi – anticipa Stanley Williams, senior Hp fellow -. In realtà, sulla base delle ipotesi attuali, l’arrivo sul mercato di questi “mostri” sarebbe previsto non prima del 2040. Ma noi ci stiamo impegnando per raggiungere il traguardo in anticipo, sfruttando nuovi transistor chiamati “memristor” e le interconnessioni fotoniche. Stiamo già lavorando per passare dall’ordine di un Petaflop, ovvero un milione di miliardi di istruzioni al secondo, a un Exaflop, un migliaio di volte più veloce, già entro i prossimi 10 anni». L’approdo a una capacità di calcolo decuplicata, ovvero uno Zettaflop (un numero con 21 zeri!) è ipotizzabile, secondo il ricercatore, già forse per il 2028. «Ovviamente, i dischi fisici hanno dei limiti invalicabili rispetto a questo tipo di capacità computazionale – precisa Williams -. Per superarli, un aiuto ci viene dalla fotonica, l’impiego di metamateriali che offrono banda più ampia, minore latenza e maggior potenza rispetto ai componenti elettrici attuali. Anche i memristor contribuiranno a superare le barriere fisiche dell’elettronica tradizionale. Questi sono switch ad alta densità di memoria, con alta resilienza dei circuiti, che possono essere utilmente impiegati all’interno di nuove architetture optoelettroniche integrate, contenendo anche i costi di produzione». I fotoni (scoperti da Albert Einstein un centinaio di anni fa) e la nanofotonica è considerata dagli Hp Labs la soluzione per il futuro delle interconnessioni all’interno dei chip, dei core e delle cache. «La tecnologia ottica apporta benefici incommensurabili rispetto a quella elettrica – conclude Williams -. Il problema è che al momento è ancora troppo cara, ma in futuro non sarà più così. I memristor, dei quali parla per la prima volta Leon Chua nel 1971, ma che sono stati costruiti dagli Hp Labs nel 2006, sono tessuti di fili elettrici tenuti insieme da gomma. La densità delle celle così ottenute è di 100 Gigabit per centimetro quadrato. Il valore aggiunto più rilevante, però, è il fatto che questa tecnologia è impilabile, quindi è possibile sovrapporre più strati di materiale per incrementare la capacità elaborativa senza problemi di surriscaldamento. Noi ci aspettiamo di riuscire a portarla sul mercato entro 5 anni».





