Formare per trattenere i brainpower nelle strategie di business

Sempre più le aziende competeranno per attrarre e fidelizzare chi ha la capacità di risolvere problemi complessi o inventare nuove soluzioni

Se chiediamo a un gruppo di responsabili delle risorse umane quanto ritiene
importante la formazione come strumento per aumentare la produttività,
oppure come parte significativa dell’esperienza professionale di una persona,
una percentuale elevata risponderebbe che essa è molto importante. Eppure,
spesso questa importanza percepita non si trasforma in comportamenti conseguenti
da parte delle organizzazioni o, peggio, si traduce in scelte sbagliate. Nella
mia esperienza di formatore, diverse volte mi è capitato di ricevere
questo tipo di commento da parte dei partecipanti ai corsi: sono concetti belli,
anche importanti, ma difficilmente si possono tradurre in comportamenti (“si
impara molto, si riesce ad applicare poco”). Una volta, di fronte alla
simulazione di un business case, qualcuno mi disse che nell’azienda in
cui lavorava non erano mai stati usati strumenti quantitativi per la scelta
degli investimenti. E si potrebbe continuare con testimonianze di questo tenore.

Perché vengono fuori queste risposte? Sono convinto che, limitandoci
al campo dell’It, esiste un problema di corretta individuazione dei percorsi
formativi individuali; spesso, poi, la formazione viene impostata su obiettivi
di breve termine, come imparare a utilizzare un certo strumento o una certa
piattaforma, senza considerare se ciò sia in linea con le aspettative
e con il percorso complessivo di crescita della persona che lo riceve. A rincarare
la dose, un’indagine pubblicata su Economia & Management all’inizio
di quest’anno mette in luce che i processi decisionali sull’investimento
in formazione informatica sono influenzati da un contesto di razionalità
superficiale, cioè la formazione viene effettuata “perché
comunque fa bene” e in ogni caso “si sa che può servire”.

Di fronte a questi dati e volendo allargare un po’ il quadro, è
legittimo, a mio avviso, sospettare che ci sia una relazione tra le carenze
nella formazione (a livello macroeconomico) e il “paradosso della produttività”,
in base al quale crescenti investimenti in tecnologie informatiche non sembrano
generare incrementi di produttività nell’economia nel suo complesso.

Come si può invertire questa tendenza? Innanzi tutto direi che, alla
fase di adozione di soluzioni basate sull’It deve far seguito un processo
di assimilazione di queste ultime all’interno dell’organizzazione.
Quindi la domanda è: compito essenziale delle attività formative
non dovrebbe essere proprio quello di guidare e accelerare tale assimilazione?
Da un punto di vista microeconomico, cioè delle scelte delle organizzazioni
(fermo restando che parte del problema deve essere affrontato anche a livello
macroeconomico), occorre delineare una strategia che si proponga di:

  • definire percorsi formativi che sappiano dare ai destinatari una visione
    di insieme, laddove il training di cui in genere si fa uso serve a formare
    skill puntuali e necessari a una particolare attività. A questo proposito,
    le recenti tendenze nel campo dello sviluppo delle risorse umane affermano
    l’importanza di favorire le capacità legate più all’area
    comportamentale che a quella dei contenuti, più al saper essere che
    al saper fare, con riferimento a fattori quali: il senso di identità
    e di appartenenza organizzativa, la fiducia relazionale, l’empowerment,
    il lavoro di team e via dicendo;
  • condividere i percorsi formativi con i suoi destinatari, nei limiti e nell’ambito
    dell’approccio prescelto. Occorre ricordare a questo proposito l’importanza
    della formazione nel favorire l’integrazione individuo-organizzazione
    e la condivisione di valori da parte dell’individuo;
  • utilizzare un mix di strumenti formativi tradizionali (es. aula, training-on-the-job)
    e innovativi (es. e-Learning, svolgimento di casi, role-playing, simulazioni
    e via dicendo.).

Un ulteriore set di strumenti formativi in senso lato è dato dai servizi
one-to-one per lo sviluppo individuale, quali: counseling, mentoring, coaching,
tutoring.
Accanto a questi elementi, che riguardano l’approccio alla formazione,
esiste poi un problema di contenuti, che, sempre per rimanere nel campo dell’It,
affrontano ancora in maniera molto timida alcuni temi quali la valutazione degli
investimenti, le relazioni tra organizzazione e sistemi informativi e altri.
Abbiamo visto, quindi, come l’approccio alla formazione, adeguatamente
impostato, possa aiutare a superare i limiti elencati in precedenza. Ma la formazione
non deve servire solo a questo, in quanto non deve semplicemente istruire, ma
dovrebbe avere un ben più ambizioso obiettivo, che è quello di
favorire e stimolare la creatività all’interno dell’organizzazione.

Un asset strategico
Si dirà che non è possibile misurare la creatività e tanto
meno metterla in relazione a un corso o a una sessione di e-learning. Tutto
ciò è vero. D’altronde, su questo terreno si gioca la sfida
competitiva più importante dei prossimi anni. Una recente survey dell’Economist
evidenzia come sempre di più le imprese competono e competeranno a livello
mondiale per attrarre e trattenere i migliori talenti in circolazione, dove
per talenti si intende “brainpower”, ossia la capacità di
risolvere problemi complessi o inventare nuove soluzioni, e non “skill”,
cioè l’abilità nell’utilizzare un dato strumento.
Obiettivo del management è, quindi, sempre di più quello di far
diventare la formazione, con adeguati investimenti, un asset strategico per
attrarre e trattenere talenti. Ciò consentirà non soltanto di
aumentare la produttività e arricchire l’esperienza professionale
dei membri dell’organizzazione, ma di aumentare il “brainpower”
a disposizione di quest’ultima.

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