Fatturazione elettronica, le imprese italiane fanno da sè

In attesa di una svolta della Pubblica amministrazione, la dematerializzazione passa per le soluzioni interne e le comunità Edi

Alle imprese italiane la fatturazione elettronica così come l’ha concepita il legislatore nazionale proprio non piace, mentre le vie alternative alla conservazione digitale dei documenti stanno conoscendo un successo crescente e trasversale nei vari settori produttivi. È questa la conclusione principale della quarta edizione dell’Osservatorio sulla fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano.

L’attesa del secondo decreto attuativo
Come infatti ha sintetizzato Paolo Perego, responsabile scientifico della ricerca, il grado di adozione della fatturazione elettronica “pura” prevista dalla normativa nazionale (dove la fattura nasce, viene trasmessa, ricevuta e conservata esclusivamente in formato elettronico) “è sostanzialmente pari a zero”, eccezion fatta per pochi casi nel settore farmaceutico. Lo sviluppo di questa modalità, denuncia l’analisi del Politecnico, è frenato soprattutto dalla mancanza di supporto della Pubblica amministrazione: la Finanziaria 2008 aveva imposto che i fornitori si relazionassero con la Pa inviando esclusivamente fatture elettroniche pure a norma di legge. Ma in realtà questa imposizione non è ancora operativa a causa della mancata promulgazione del secondo decreto attuativo. Risultato: molte imprese, soprattutto medio-grandi (anche quelle con pochi rapporti con l’apparato statale), aspettano ad adottare soluzioni di digitalizzazione dei documenti in attesa del varo del decreto. La convinzione diffusa è che questa normativa detterà in futuro la modalità operativa complessiva e che dunque avviare investimenti in questa fase d’incertezza possa essere controproducente.

Una parte importante del b2b
Altre migliaia di imprese, però, anche senza decreto attuativo non vogliono rinunciare ai vantaggi della dematerializzazione dei documenti (in termini di spazio, efficienza, minori costi, ecc..) e hanno fatto da sé. L’Osservatorio del Politecnico stima che in Italia esistano tra le 2.000 e le 3.000 aziende (+40% rispetto a un anno fa) che applicano modelli di conservazione sostitutiva delle fatture o di altri documenti a valenza fiscale e civilistica. Per quanto riguarda invece l’intero ciclo ordine-pagamento almeno 7.000 imprese partecipano a comunità Edi (Electronic Data Interchange) vere e proprie in settori come automotive, largo consumo, elettronica. Altre migliaia (circa 35.000) partecipano a reti Edi non strutturate, mentre circa 15.000 si scambiano documenti nei portali Web dei leader di filiera. Sommando questi dati si arriva a una mole di documenti in formato elettronico del valore di circa 150-200 miliardi di euro, pari a circa il 5-7% del valore complessivo degli scambi b2b nazionali.

Gli ostacoli alla dematerializzazione
La conseguenza, si evince sostanzialmente dal rapporto del Politecnico, è che la fatturazione elettronica italiana non può fare a meno di questi numeri e che la situazione andrebbe pienamente normalizzata, riconoscendo la piena dignità dei canali Edi (così come successo in Spagna). Se questo riconoscimento avvenisse, l’Italia in realtà non sarebbe poi così indietro rispetto agli altri paesi europei. La maggior parte delle aziende nazionali, però, è ancora fuori da questo circuito: le principali barriere all’adozione delle soluzioni di dematerializzazione sono rappresentate dalla difficoltà di gestione del cambiamento interno, dalla scarsa chiarezza della normativa e, un po’ a sorpresa, dalla poca consapevolezza dei benefici legati all’addio ai documenti cartacei. Per superare queste resistenze molti attori sono chiamati a fare di più nei prossimi anni: le grandi imprese, il canale bancario, i commercialisti (che possono sponsorizzare queste soluzioni presso i propri clienti) e, ovviamente, la Pubblica amministrazione, anche se otto regioni italiane hanno già avviato iniziative positive in tal senso.

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