Fare opensource è fatturare

Esperti di codice open a consesso ribadiscono che non si tratta di regalare, ma di fare business in maniera diversa.

Il futuro dell’open source? Esattamente quello che ha fatto Sun, decidendo di rilasciare quello che prima era codice proprietario, per fare fatturato. La sintesi, forzata, come ogni operazione di questo tipo, proviene da un incontro di esperti di codice open che si è tenuto a Santa Clara la scorsa settimana, sotto l’egida dell’Sd Forum.


Sono intervenuti vari esponenti del fronte open, che hanno voluto analizzare proprio il futuro commerciale dell’opensource. Posizioni interessanti da conoscere, soprattutto da parte di chi pensa di risparmiarsi corposi esborsi con il codice open e di lasciarsi alle spalle definitivamente il software “chiuso”. Niente di tutto questo.


Larry Augustin, ceo di Va Software (l’ex-Va Linux, società che ha lanciato la piattaforma SourceForge per la condivisione di progetti software, a cui partecipano anche Microsoft e l’italiana Engineering, con l’iniziativa Spago) ha riportato tutti alla definizione primeva di opensource: un software che si apre a tutti per diffondersi meglio nel mondo, e quindi farsi conoscere, farsi pubblicità. E, alla fine, farsi usare e vendersi. Insomma, alla radice dell’opensource c’è la volontà di creare un fenomeno commerciale, non quella di fare beneficenza. Augustin, quindi, sta dalla parte di chi distingue fra codice aperto e codice gratis. Non per nulla è a capo di una società, che pur facendo leva sull’opensource, è quotata al Nasdaq.


A proposito di questa dicotomia, Simon Phipps, chief open source officer di Sun, al consesso ha raccontato la storia del Cio che andava dicendo in giro che, “si, gratis, gratis, ma intanto io con l’opensource spendo una barca di soldi”. E, infatti, ha sottolineato Phipps, proprio perché il codice è free, attorno ci si costruiscono servizi, supporto, training, a pagamento, specie se l’ambito di implementazione è quello enterprise.


Analoga la posizione di Rod Smith, direttore delle tecnologie emergenti a Ibm, che ha citato il caso di un altro cliente aziendale, che con l’opensource non è che abbia risparmiato granché, in meri termini monetari (e che nemmeno intendeva farlo) ma in tempo e obiettivi si: ha ottenuto il software che faceva esattamente al caso suo. E sempre secondo Smith, in fatto di open source bisogna essere realisti e sinceri, e non dogmatici, altrimenti si corre il rischio di non servire bene gli utenti.


Stessa lunghezza d’onda per il Ceo del software provider americano Continuent, secondo il quale l’integrazione fra ambienti open e tradizionali è la chiave per dare al mercato quello che ha bisogno, e quindi per essere competitivi.


E sempre secondo un provocatorio Phipps, il fenomeno open sarebbe una grande risorsa anche per Microsoft, che se aprisse il proprio codice alla comunità ne ricaverebbe il beneficio di veder risolti i propri bug.

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