Fare business con tattiche da… guerra

I manager con gli occhi a mandorla studiano un testo sull’arte della guerra (scritto duemila anni fa) perché per fare affari si scende in "campo". Astenersi i "deboli di stomaco …

Gennaio 2006, Un buon traduttore, innanzitutto. Che capisca al volo le sottigliezze
di una risposta elaborata da un manager cinese. Perché la pragmaticità
che contraddistingue il business cinese non prescinde mai, anche se si
parla delle generazioni più giovani, da una sorta di filosofia
Zen. Per cui il sì spesso non è l’ultima parola, ma
solo l’incipit per dare avvio a un contatto di affari. Ma attenzione:
da questo sì alla firma potrebbero passare mesi, se non anni.

E poi andrebbero evitati con cura emissari e manager astemi. O schifiltosi.
Chi tratta affari in Cina dovrebbe saper bere e saper sopportare bene
l’alcool (il Maotai deve essere una bomba e molti sono i trucchi
escogitati per evitarlo). Perché se è vero che in Italia
gli affari si fanno al ristorante, pare che l’abitudine sia quasi
esasperata in Cina dove i colloqui di business (spesso estenuanti) si
svolgono per lo più presso gli hotel a cinque stelle per poi finire
a cena. Magari in un Karaoke bar. Inutile, però, sperare in piatti
"continental".

Piuttosto, conviene avere uno stomaco che apprezza
eventuali portate esotiche condite, magari, con scorpioni fritti. Lo dice
a chiare lettere Laurence J. Brahm nel suo simpatico libro "Quando
sì significa no" che abbiamo voluto leggere incuriositi dal
sottotitolo: Guida alle trattative d’affari nella Cina di oggi.
Brahm, che vive a Pechino da più di vent’anni, si è
permesso di scrivere un libro dall’alto della sua esperienza di
avvocato e di esperto di politica economica. Ma non inventa nulla. Piuttosto
prende sul serio due testi cinesi: "L’arte della guerra",
scritto duemila anni fa, e le "Trentasei strategie" (una raccolta
di aforismi che riassume esempi di abilità strategica).

Pare che
questi due libri siano ancora studiati e facciano parte del sapere comune.
Perché le trattative in Cina sono lunghe (il contrario vi deve
insospettire), estenuanti e non dissimili da tattiche di guerra. Così
Brahm consiglia: "la prima regola da seguire è lasciare a
casa il proprio avvocato". E la seconda è "buttare
dalla finestra i testi sacri studiati al master in business administration".

Un Paese "amico"
In caso, poi, di problemi dimenticatevi di poter ricorrere a un tribunale.
O meglio: se volete rimanere in Cina a fare affari ricorrete a un arbitrato,
fatto di poche sottigliezze legali. Ma se ve li fate amici… la storia
cambia. Qui l’amicizia ha un valore supremo. E ci sta che sempre al Karaoke
bar vi sia svelato il perché di un problema. Stranini ‘sti cinesi.
Ma una cosa è certa: magari non saranno tirati a lucido come i
manager occidentali, ma è sicuro che la loro conoscenza dell’Occidente
è molto maggiore di quella che noi abbiamo della Cina. Forse conviene
iniziare a colmare questo gap prima di prendere qualsiasi decisione di
"sbarco".

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