Falsa partenza per le Unified Communications in Italia

Nonostante l’interesse espresso a parole, l’adozione delle Unified Communications in Italia è ancora allo stato embrionale. E A volte chi frena è il top management.

Forte percentuale di aziende italiane che prevedono di investire, presenza in oltre il 90% di queste, aumento del valore degli investimenti fatti dalle singole imprese. Sono questi i fattori che all’apparenza descrivono uno stato dell’arte positivo nel nostro Paese per quanto riguarda l’adozione delle soluzioni di Unified Communication & Collaboration (d’ora in poi anche UC&C) emerse al recente convegno ‘UC&C: se la tecnologia cambia lo spazio di lavoro’, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano.

Ma di apparenza appunto si tratta, perché in caso contrario non si spiegherebbe come mai le aziende italiane non siano saltate in massa sul carro di questa importante innovazione.
Lo stato reale delle cose racconta infatti una situazione diversa, come ha spiegato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio sull’UC&C: “Anche se il quadro generale dimostra come questo tema sia comunque in controtendenza rispetto a molti altri investimenti Ict, queste tecnologie rischiano di arenarsi a uno stadio di adozione embrionale, non sfruttando appieno il potenziale di innovazione che da esse può essere abilitato”.

I dati emersi dalla ricerca, infatti, evidenziano la difficoltà a passare da un primo stadio sperimentale di queste tecnologie a una loro piena adozione. Se infatti il 94% delle aziende dichiara una presenza in azienda di questo tipo di soluzioni, solo l’8% segnala che queste vengono attualmente utilizzate in più di un ambito aziendale, mentre nel 20% dei casi è vero che queste vengono utilizzate pienamente, ma solo nell’area in cui è nato il progetto pilota.
Insomma esiste la difficoltà concreta a portare fuori l’esperienza positiva fatta inizialmente e l’implementazione su larga scala delle UC&C rimane spesso un obiettivo lontano.

Perché tutte queste difficoltà?
Per rispondere a questa domanda non basta soffermarsi agli aspetti puramente tecnologici, e di management dei progetti che portano le UC&C in azienda.
Le spiegazioni fornite dai Cio a questo proposito non sono state ritenute sufficienti da coloro che hanno svolto la ricerca: “La mancanza di risorse per compiere il passaggio dalla sperimentazione a un utilizzo sistematico dichiarato dal 55% dei 127 responsabili It del campione intervistato, e le difficoltà a identificare i benefici economici indicato da un altro 39%, appaiono più degli alibi che non degli ostacoli insormontabili – ha dichiarato Mariano Corso-. Soprattutto alla luce del fatto che nei casi concreti analizzati dalla nostra ricerca si evidenzia come le tecnologie UC&C si connotano come ‘leggere’ e per il fatto che i progetti pilota si sono comunque ripagati anche in tempi inferiori ai dodici mesi”.

Convinti del fatto che le spiegazioni ricevute non bastavano a spiegare la realtà, i ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano hanno quindi esteso la loro ricerca a un altro campione: quello dei responsabili della gestione delle risorse umane di aziende che hanno affrontato progetti UC&C al loro interno. Intervistando oltre 60 responsabili Hr è emersa con più chiarezza che la ragione dei ritardi di implementazione a livello più ampio delle tecnologie UC&C dipende infatti più dalle resistenze delle organizzazioni e non tanto dalla difficoltà di portare avanti dei progetti innovativi per mancanza di budget.

Le tecnologie di Unified Communication & Collaboration, che consentono a un dipendente di continuare a comunicare con device diversi in qualsiasi contesto, compresi quelli di mobilità esterna e interna all’azienda, infatti creano i loro maggiori benefici quando mettono in discussione i processi organizzativi consolidati dell’impresa. Ma non tutte le aziende sono pronte a disegnarne di nuovi per mettere insieme le esigenze del business con la cultura e le nuove modalità di comunicazione delle persone, soprattutto quelle più giovani.

Seppure nella maggioranza dei casi il top management sia stato lo sponsor iniziale dei progetti pilota, oggi sono è il primo a frenare sull’idea di una più ampia adozione per non mettere in discussione assetti consolidati oppure perché ritiene che nel complesso la loro azienda non è oggi pronta a compiere questo salto di qualità.

Ma le maggiori resistenze, di cui i top manager si fanno carico, arrivano dai responsabili delle linee di business che non hanno partecipato alla prima fase sperimentale delle UC&C. L’organizzazione a silos di molte aziende continua a pesare, mentre la trasversalità insita nelle UC&C è vista più come un rischio che come un potenziale fattore positivo. Inoltre la volontà di controllare da vicino il lavoro svolto dalle proprie persone, è un punto che oggi è difficile da mettere in discussione.

Non è impossibile credere che un domani queste barriere vengano abbattute, e qualcuno i primi passi in questo senso li sta già compiendo, ma certamente sarà un processo lungo che rischia inoltre di generare disaffezione tra le giovani leve, abituate a un contesto di comunicazione molto articolato, verso le imprese più conservative.

Il cambiamento quindi un giorno diventerà necessario: “Ma fino ad allora – spiega Mariano Corso – l’utilizzo delle tecnologie UC&C arrivate magari nell’impresa banalmente con la sostituzione di alcuni centralini telefonici rischiano di rimanere ben al di sotto del loro potenziale, perdendo così la gran parte dei benefici attesi. E’ uno scenario già visto sul fronte di altre innovazioni Ict, ma questo non è certo una consolazione”.

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