Facebook sì o no: il dilemma delle aziende

Il rapido successo del social network provoca qualche problema. Pezzi della Pa decidono di farne a meno seguendo l’esempio che arriva dall’estero

La Pubblica amministrazione contro Facebook. Sull’onda della campagna antifannulloni del ministro Brunetta il Comune di napoli ha razionato l’uso del social network ai dipendenti e sulla strada dell proibizione totale si stanno invece indirizzando le Regioni Lombardia e Veneto. Il la, come ha raccontato Vittorio Zambardino su Repubblica, l’hanno dato le Poste dove i dipendenti non possono più accedere al social network.


Tutto questo mentre in qualsiasi convegno dedicato all’Enterprise 2.0 trovi sempre qualcuno convinto dell’utilità di lasciare pieno accesso accesso a face book e simili. Un modo per fare familiarizzare i dipendenti con questi ambienti che possono avere anche una certa utilità per le imprese.


Il problema non riguarda solo l’Italia dove il social network è passato da meno di un milione di utenti a 4,2 nel giro di pochi mesi, ma anche gli altri Paesi. In Gran Bretagna sembra che i 2/3 delle aziende lo blocchino e anche la metà delle aziende Usa, secondo un’indagine, pongono precisi limiti all’utilizzo di questo tipo di siti.


D’altronde per la legislazione italiana non ci sono problemi a oscurare certi siti sui pc dei dipendenti.


Pietro Ichino, senatore del Pd ed esperto di diritto del lavoro, ha spiegato all’agenzia AdnKronos che ”Tutta la strumentazione in ufficio deve essere utilizzata essenzialmente per fini di ufficio; questo vale sia per gli strumenti tradizionali che per quelli telematici e informatici”. Dunque, se lo ritiene opportuno, continua l’esperto, ”il datore di lavoro può limitare la funzionalità di un terminale internet ai soli usi che interessano all’azienda”. E potrebbe avvenire per Facebook come per la posta elettronica, per la quale è molto diffusa una direttiva aziendale ”che avverte i dipendenti della possibilità che la posta di ufficio sia letta anche da persone diverse dal singolo intestatario della mailbox – argomenta Ichino – e li invita a chiedere eventualmente l’apertura di una casella personale se ritengono di intrattenere una corrispondenza riservata. Ma, a rigore, il lavoratore dipendente non avrebbe diritto a intrattenere corrispondenza personale riservata in orario di lavoro e con la strumentazione di ufficio”.


Alcuni però la pensano in modo differente. Da Microsoft nessuno pensa di limitarne l’uso. D’altronde nella società di Bill Gates (anche nella filiale italiana) ognuno ha degli obiettivi da raggiungere e i dipendenti, che non timbrano neanche il cartellino, godono di una certa libertà. Se poi gli obiettivi non vengono raggiunti se ne parla.


In Fiat il marketing lo utilizza tantissimo per raccogliere pareri sui nuovi modelli, mentre Goldman Sachs, Lloyds e Credit Suisse da tempo lo hanno bandito.


Utilizzarlo come strumento di selezione per conoscere meglio il personale che si pensa di assumere, come sembra faccia qualcuno negli Usa, è vivamente sconsigliato. Sempre Ichino spiega che
”le indagini del datore di lavoro sulla vita privata, le opinioni e i modi di essere personali dei dipendenti o aspiranti tali, che non rilevino sul piano professionale, non sono assolutamente consentite dal diritto”.


Ma non c’è solo Facebook. Altre aziende sono preoccupate riguardo l’utilizzo delle chat che, secondo Roberto Venturini, Strategic Digital Planner in Arc – Leo Burnett e veterano dell’Internet marketing, permettono di aumentare la comunicazione in strutture dinamiche e non formali.


L’adozione della chat, sostiene però Venturini, richiede lo sviluppo di un senso di responsabilità da parte degli utenti perché ne facciano un buon uso e ne contengano gli effetti distorsivi al minimo (un breve saluto in chat alla fidanzata rischia sempre di scapparci…). D’altro canto timori analoghi avevano impedito la diffusione a suo tempo del telefono, con aziende che avevano inibito ai dipendenti le chiamate verso l’esterno; con il risultato che il dipendente per telefonare a casa doveva munirsi di gettone, chiedere un permessino, scendere nell’atrio del palazzo ed utilizzare (quando libero) uno dei telefoni pubblici collocati in loco… con effetti sull’efficienza, la produttività ed i costi aziendali ben superiori a quelli che avrebbe generato potendo semplicemente prendere il proprio telefono e chiamando casa per avvisare di un ritardo nell’uscita.

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