Facciamo spazio alla nuova generazione

Con le Next Generation Network nasce un nuovo concetto di reti di comunicazione, in cui i diversi livelli sono destinati a compiti specifici. Ne parliamo con Mauro Filippi, direttore marketing di Marconi Communications

3 marzo 2003 Dimenticati i tempi in cui, complice l’euforia collettiva per l’esplosione delle telecomunicazioni, gli operatori disponevano di capitali da investire su progetti che, alla prova dei fatti, si sono rivelati poco remunerativi, il mercato è diventato particolarmente attento. Una condizione che, però, non ha bloccato l’evoluzione di un settore sempre più vitale per il business di qualsiasi azienda. E sono proprio gli utenti a sollecitare la creazione di servizi nuovi e più affidabili, capaci di garantire anche risparmi economici.
Tutto questo ha indotto il mondo delle telecomunicazioni e dell’informatica a dare vita a un nuovo modello, conosciuto con l’acronimo NGN (Next Generation Network), al quale sono legate molte delle speranze di rilancio del settore. Di questi tempi, però, come spiega il direttore marketing di Marconi Communications, Mauro Filippi, una svolta tanto epocale non può avvenire in modo radicale, ma richiede un’evoluzione progressiva.

Per molti NGN e banda larga sono sinonimi. Quali, in realtà, le differenze?

La differenza è sostanziale, poiché la larga banda costituisce semplicemente una tecnologia abilitante per le reti di nuova generazione. Con NGN, invece, si identifica un concetto che sta alla base della definizione e dello sviluppo delle reti future. Si tratta di infrastrutture che prevedono la separazione formale in diversi piani e livelli, completati dall’utilizzo di interfacce aperte. In questo modo operatori e fornitori di servizi dispongono di una piattaforma in grado di evolvere, gradualmente, verso la creazione, implementazione e gestione di servizi innovativi.
Sostanzialmente possiamo distinguere un primo livello, Network Layer, al quale si connettono tutti gli utenti, siano essi aziende, piccoli uffici, abitazioni o cellulari. Al di sopra abbiamo il livello di controllo e quello incaricato di gestire le applicazioni.
Per arrivare a un simile risultato è necessario che vengano creati, e messi in funzione, una serie di servizi in ambiente altamente competitivo. Ma questo presuppone larga banda nell’accesso, reti multiservizio in grado di garantire QoS e sicurezza, piattaforme e API aperte, oltre a tecnologie che consentano l’autogestione da parte dell’utente.

In altri termini ci stiamo muovendo verso la convergenza reale. Ma sarà un risultato che potremo ottenere attraverso un’ulteriore evoluzione della rete telefonica di cui disponiamo?

La rete telefonica PSTN-ISDN è già un’evoluzione di quella in uso negli Anni 60, si può quindi capire quanto sia obsoleta rispetto alle esigenze attuali e gli adeguamenti hanno il solo scopo di sfruttarne tutte le residue potenzialità, che sono comunque limitate. Quindi la vera convergenza si realizzerà sulle reti IP e di questo sono convinti anche gli enti normatori internazionali. Attualmente, però, il business degli operatori è ancora legato alla voce. Per favorire l’evoluzione verso IP è essenziale che vengano creati nuovi servizi e, contemporaneamente, siano ridotti i costi. In questo ambito le indicazioni di ITU (International Telecommunication Union) appaiono chiare, in quanto ha suggerito di sfruttare al massimo tutte le infrastrutture installate, ma anche di minimizzare i costi telefonici. Un obiettivo raggiungibile attraverso la progressiva sostituzione dei vecchi nodi con più moderni nodi a pacchetto. Non possiamo però dimenticare che creare una rete IP, per i soli servizi voce, non è certamente remunerativo. Si devono quindi affermare infrastrutture a banda larga, in grado di supportare nuovi servizi per gli utenti. E, in questo ambito, credo che il futuro vedrà la fornitura di soluzioni integrate, soprattutto per l’utenza enterprise.

I tempi per completare una simile rivoluzione appaiono incerti. Quando il mercato sarà pronto per la svolta?

Credo che il mercato debba ancora maturare e, per questo, è fondamentale il processo di liberalizzazione. Un processo che ha molti vantaggi, ma che rischia anche di arenarsi se alcuni operatori continueranno a insistere per un uso della voce basato solo su tecniche tradizionali. È quindi necessario che le tecnologie si stabilizzino attraverso una serie di esperienze dirette sul campo e con investimenti sensibili nel VoIP. Proprio la ricerca e gli investimenti suggeriscono agli Incumbent di studiare con attenzione le proprie mosse, perché questa è una fase molto delicata per il business aziendale. Un importante operatore nazionale, ad esempio, crede in questo progresso e sta sostituendo i vecchi nodi con apparecchi molto più avanzati per la sua Optical Packet Backbone, che include nodi come gli MSH2K prodotti proprio da Marconi.

Oltre ai singoli operatori è però fondamentale capire l’orientamento degli Enti normatori. Che cosa sta accadendo a livello internazionale?

Come avviene per la maggior parte delle nuove tecnologie, allo stato attuale non esiste un’unica indicazione a cui attenersi: abbiamo così una proliferazione di standard, in determinati ambiti, e una totale assenza di riferimenti in altri. Lo sviluppo è quindi disordinato e l’evoluzione, dalle reti telefoniche alle NGN, inizierà da una progressiva diffusione delle reti di accesso a pacchetto, che dovranno però essere interoperabili con le vecchie strutture. Nella fase iniziale, infatti, pochi utenti sceglieranno di abbonarsi a tale servizio, ma con il passare del tempo i tradizionali telefoni si trasformeranno in terminali IP, anche se questo processo appare più lento rispetto alle previsioni del passato. Se analizziamo le possibili architetture, sta ottenendo ampi consensi la tecnica “SoftSwitch”, ma in ambito enterprise e fra i Service Provider si valuta anche l’utilizzo di SIP (Session Initiation Protocol). In questa fase di passaggio, gli operatori si trovano a gestire una complessità ancora più elevata, con strati e architetture di rete interoperabili. Per questo risulteranno vincenti le proposte, come i nostri Access Hub, in grado di far interagire fra loro i vecchi e i nuovi sistemi.

A livello di accesso, nel frattempo, gli operatori spingono decisamente sull’ADSL. Nel tempo non sarà antieconomico dover gestire più modalità?

L’xDSL crescerà decisamente e, nel volgere di 5-6 anni, gli operatori potrebbero decidere di disattivare progressivamente le connessioni in commutata. In questa fase il mercato richiederà sistemi intelligenti, in grado di supportare entrambe le tecnologie, proteggendo così gli investimenti dei carrier stessi. I vecchi apparati, però, non verranno distrutti, ma installati nei Paesi più arretrati. Questo perché si tratta di infrastrutture ormai economiche e caratterizzate da bassi costi di installazione e gestione. In tal modo sarà possibile avvicinare alla tecnologia anche le economie più arretrate, che altrimenti non potrebbero permettersi ingenti investimenti nel breve periodo.

Oltre al Terzo mondo, però, ci sono anche zone periferiche nei Paesi industrializzati. Sono destinate a rimanere emarginate dal punto di vista tecnologico?

Oltre alle zone disagiate esistono clienti poco remunerativi, ma ciò avveniva anche per la telefonia tradizionale: per questo i governi si sono impegnati a garantire il servizio universale, finanziando la realizzazione di reti moderne anche nelle zone marginali. Certo la liberalizzazione potrebbe rendere più complesso questo processo, ma non dobbiamo dimenticare che i clienti residenziali, in molti casi, sono comunque poco remunerativi. Quindi, se non decolleranno rapidamente una serie di nuovi servizi, molti operatori alternativi potrebbero ritirarsi da questo mercato, lasciando agli Incumbent il ruolo di Network Provider e limitandosi ad affittare l’infrastruttura di trasporto per rivendere i soli servizi. Proprio alla luce di una simile evoluzione, è prevedibile che la rete d’accesso sfrutterà, sino al limite, le connessioni in rame, per poi passare all’utilizzo delle onde radio. Mentre appaiono sempre meno promettenti tecnologie basate sul cavo coassiale o le Power Lines.

In tutto questo, quale sarà il confine fra Internet e NGN?

E’ un aspetto sul quale gli Enti normatori e i gruppi di lavoro stanno ancora discutendo. Ma credo che le NGN saranno, in primo luogo, un forte stimolo per l’utilizzo degli indirizzi IP v6, le cui caratteristiche appaiono ideali per la fornitura dei nuovi servizi. Per ora abbiamo una serie di implementazioni sperimentali, ma restano da chiarire ancora molti punti, come la QoS o le differenze fra le piattaforme business e quelle consumer. Dovrà però essere valutata anche l’interoperabilità fra le reti. Si tratta di argomenti fondamentali, perché gli operatori devono decidere su cosa investire e, in questa fase, un errore di strategia potrebbe essere fatale. Non dobbiamo inoltre dimenticare che l’architettura è talmente articolata che ci sarà spazio anche per i piccoli fornitori capaci di proporre componenti specializzati in determinate funzioni.

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