Evoluzione della tecnologia ink jet

Gocce più piccole di un capello, inchiostri resistenti per mezzo secolo, milioni di tinte diverse per stampe che superano gli standard di un laboratorio fotografico

luglio 2002 Il rilascio di ogni nuova famiglia di stampanti coincide
con un salto qualitativo nel livello tecnologico di ciascun produttore. La rincorsa
continua è verso gocce sempre più miniaturizzate che, abbinate a
nuove testine e nuove meccaniche di trascinamento della carta, consentano risoluzioni
sempre maggiori.

Di pari passo si sviluppa la ricerca sugli inchiostri e sulle carte per favorire
una resa cromatica che si avvicini o eguagli la stampa delle fotografie tradizionali,
in termini di brillantezza, di varietà dei colori e di durata nel tempo.

Storicamente i filoni tecnologici sono due: thermal inkjet
e piezoelettrico. Il primo è stato sviluppato in origine
da Canon, col nome di bubblejet, e poi acquisito e sviluppato indipendentemente
anche da HP e Lexmark. Il secondo è appannaggio unicamente di Epson che
ne ha fatto il proprio cavallo di battaglia.

In entrambi i casi si tratta di sparare decine di milioni di goccioline d’inchiostro
al secondo sulla superficie del foglio, goccioline che, nel caso della tecnologia
termica, vengono prodotte dal temporaneo e repentino riscaldamento dell’inchiostro
e hanno dimensione fissa, regolata dalla temperatura di riscaldamento e dall’ampiezza
dell’ugello da cui escono.

Nel caso della tecnica piezoelettrica, le gocce possono essere modulate nella
dimensione regolando la pressione di una membrana che, vibrando avanti e indietro,
le assorbe dal serbatoio e le espelle dall’ugello, come se fosse una pompa.
Queste due tecnologie di base vengono poi affiancate da altre tecniche che cercano
di ottimizzare l’uso degli inchiostri e della velocità oppure la resa
del colore. Canon, Epson e HP
sono le aziende che hanno lavorato di più in questa direzione

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