Energia, risparmiare è possibile

I costi di alimentazione e di raffreddamento dei datacenter incidono pesantemente sul business. Ma l’adozione di politiche ecocompatibili può ridurre i consumi e, quindi, la spesa

Datacenter estesi, server sempre più potenti, sistemi di raffreddamento always on e desktop in funzione 24 ore su 24, stanno trasformando l’infrastruttura It delle aziende in una vera e propria macchina energivora, i cui costi incidono pesantemente sul business. Da qui la necessità delle imprese di adottare politiche di “green It”, mettendo al primo posto il taglio dei consumi energetici e, di conseguenza, della spesa. Un bisogno dettato anche da un quadro generale che non lascia molte alternative: da una parte le risorse (economiche e naturali) che tendono a ridursi, dall’altra i vincoli di provvedimenti internazionali per ridurre le emissioni inquinanti (vedi protocollo di Kyoto per l’Europa). In tale contesto, i vendor stanno reimpostando l’offerta per soddisfare una domanda fortemente condizionata da standard di “ecocompatibilità” e da rigidi obblighi di bilancio.

La situazione secondo gli analisti

«L’Ict ha un ruolo preciso nella riduzione del consumo di energia – spiega Euan Davis, senior analyst di Forrester Research -. Basti pensare alla virtualizzazione dei server: riducendo il numero di server fisici si abbassa il consumo di energia per il funzionamento, per il raffreddamento, per i gruppi di continuità e i sistemi periferici. Oppure alle policy di spegnimento dei pc all’interno di un ambiente desktop aziendale, che garantisce una gestione più efficiente e meno dispendiosa dei computer presente in azienda. Infine, all’implementazione di soluzioni di intelligent building». A livello più ampio, il ruolo dell’Ict si estende al tracciare il consumo di energia in tutto l’ambito aziendale, attraverso sistemi di Ems (Environmental management system).

Esistono diverse offerte che possono aiutare i clienti a ridurre i consumi, tuttavia, spesso i vendor mettono sul mercato soluzioni “green” non sviluppate abbastanza, quelle che Davis definisce “cariche di greenwash”, ossia un fenomeno di disinformazione divulgata dalle organizzazioni, così da presentare un’immagine pubblica ambientalmente responsabile, ma che poi non corrisponde a un vero intento a monte.

«Ne è un esempio il riposizionamento della videoconferenza come alternativa green ai viaggi di lavoro – puntualizza Davis -. Dall’altra parte esistono aziende come Dell, Hp e Sun che attualmente si stanno focalizzando sulla produzione di pc sempre più verdi». I clienti, da parte loro, ne fanno sempre più una questione di “environmental responsibility” più che social responsability e chiedono dei cambiamenti che obblighino i governi ad agire e creare una legislazione in merito.

«Ciò andrebbe indubbiamente a impattare sul comportamento aziendale – sostiene Davis – bisognerebbe considerare i limiti di emissione di carbonio per industria, porre attenzione al modo in cui l’approvvigionamento pubblico dell’Ue è ora soggetto alle politiche verdi e aspettarsi di vedere più aziende optare per acquisti adeguati, in quanto si fa sempre più urgente una risposta da parte di queste in termini di riduzione di emissioni».

Secondo una ricerca di Forrester, le motivazioni a monte del green It variano molto a seconda delle aziende: ci sono quelle che lo devono fare per necessità, a causa della legislazione che limita le emissioni, quelle che scelgono di farlo dal momento che sono gli azionisti a chiederlo, e, infine, quelle che vogliono essere viste come “verdi” per un ritorno di immagine del brand.

A dire il vero la sensibilità delle aziende, specialmente in Italia, su questi temi, non è poi così spiccata. Chi si sta muovendo nella direzione del green It lo sta facendo senza troppa programmazione strategica a supporto e quasi esclusivamente in un’ottica di riduzione dei costi, non tanto di responsabilità ambientale. «È lo scotto da pagare nel passaggio da una struttura mainframe a una basata su datacenter – spiega Andrea Di Maio, vice president & distinguished analyst di Gartner -.
Fino a 5 anni fa, a ogni chilowatt impiegato per far funzionare il datacenter corrispondeva mezzo chilowatt per il raffreddamento. Oggi quel rapporto si è invertito, perché in meno spazio si concentra più potenza di calcolo. L’impatto del sistema di raffreddamento sul consumo energetico è immediato anche se è difficile quantificare l’incidenza sulla bolletta elettrica. Infatti, i Cio non conoscono la spesa in elettricità, perché il responsabile di questa è il facility manager. In più, non si possono avere dati disaggregati relativi ai singoli consumi e non esistono contatori differenziati per il sistema It». Quella dei contatori differenziati è una soluzione di cui si parla da tempo ma che finora non ha trovato applicazione. Ma prima ancora di arrivare all’introduzione di nuovi dispositivi, che alle volte richiedono investimenti costosi, le aziende potrebbero iniziare a seguire semplici indicazioni di ordine generale per usare al meglio le strutture It e la tecnologia che già possiedono, senza dover affrontare grandi impegni economico-finanziari.

«Basterebbe, per esempio, riordinare i datacenter, disponendo le macchine in modo da non impedire il passaggio di aria dalle aperture sul pavimento – continua Di Maio -. Il problema è che spesso i datacenter crescono in modo disordinato e man mano che si aggiungono elementi non si fa attenzione alla loro disposizione. Anche porre gli elementi a un’equa distanza l’uno dall’altro aiuterebbe per una maggiore aerazione». Anche Di Maio vede nella virtualizzazione uno strumento per diminuire il numero di server e ottimizzare l’uso di quelli esistenti: «I server non lavorano sfruttando la massima capacità potenziale – spiega -. Anche disattivare quelli inattivi, convogliando le attività su un numero più ristretto contribuirebbe a ridurre drasticamente l’impatto sui consumi». Lo stesso discorso vale per tutti gli strumenti elettronici e informatici usati in azienda.

Più sensibilità da parte dei Cio

Il risparmio può iniziare dalla scelta dello schermo nero come screen saver dei desktop che rimangono accesi, invece di lanciare il logo dell’azienda, che consuma un quantitativo di energia enorme. Spegnere pc e stampanti potrebbe essere una buona regola, o, nel caso si abbia la necessità di aggiornamenti notturni, lasciarli in stand by, in modo da consentire all’operatore di attivarli per il tempo strettamente necessario per l’update. «Non è un risparmio da poco, considerando che la media di utilizzo dei computer è di 8/9 ore giornaliere – conclude Di Maio -. Si può dire che il tempo di inattività superi di gran lunga quello operativo». Ciò che vediamo è, comunque, poca sensibilità su questi temi. I fornitori sventolano la bandiera dell’ecocompatibilità, di cui però il risparmio energetico è solo una parte. Bisognerebbe ridefinire tutta l’impostazione del discorso. I vendor danno importanza a quello che fanno loro, alla riduzione dell’impatto ambientale con politiche di ecocompatibilità legate alla produzione in sé, come la produzione di pc con materiali biodegradabili o un interesse verso lo smaltimento controllato o il riuso. Ma c’è ancora poca attenzione all’aspetto della riduzione del consumo energetico durante l’impiego degli stessi strumenti da parte degli utenti. Ma qui si apre un ragionamento complesso che dovrebbe affrontare il Cio, calcolando il dispendio energetico legato all’It, in funzione del tipo di business dell’impresa: nel settore finance l’impatto dell’It sul business è nettamente superiore rispetto agli altri processi; viceversa, nel manifatturiero il peso dell’It è, in proporzione, inferiore. Ma anche qui è il Cio che deve sviluppare una particolare sensibilità, mettendo sul piatto della bilancia dimensioni e posizionamento dell’azienda, calcolarne le esigenze e le urgenze da risolvere, inquadrandole nel ciclo produttivo.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome