«Ecco perché JBoss»

Tim Yeaton, del marketing mondiale di Red Hat, ci spiega il senso dell’acquisizione della società che coniuga Java all’opensource. Sta tutto nella capacità di visione, con di mezzo le Soa.

La scorsa settimana Red Hat, società da sempre impegnata in campo Linux, che da qualche anno ha decisamente virato la propria offerta verso I sistemi d’impresa, ha dato annuncio dell’acquisizione di JBoss, realtà che coniuga le metodiche opensource con quelle Java, ed è produttrice, tra le altre cose, di un application server J2Ee “aperto”.

Per comprendere meglio i paradigmi che hanno portato all’acquisizione, abbiamo posto quattro domande al responsabile (senior Vice president) marketing mondiale della società, Tim Yeaton.

Cosa comporta per Red Hat il salto nel mondo degli application server Java?

«I feedback che Red Hat ha raccolto presso i propri clienti mostrano come questi si stiano rivolgendo all’opensource per affrontare due necessità It fondamentali.

Primo, continuare a ottimizzare le spese di tutte le aree, comprese hardware e software di infrastruttura, consumi energetici, impianti, system management, testing & quality assurance. La strategia di Red Hat è stata finora fortemente focalizzata in questo ambito, e la piattaforma Red Hat Enterprise Linux (Rhel), con la prossima Integrated Virtualization, ed il supporto appena annunciato agli stack Lamp (Linux, Apache, MySql, Perl, o anche Php e Python), continuerà ad essere all’avanguardia su questo.

Secondo, i clienti ci dicono di voler investire quello che riescono a risparmiare sull’It in soluzioni che consentano loro di differenziarsi e di stimolare crescita e profittabilità nei loro specifici settori, con una combinazione di sviluppo interno e integrazione delle applicazioni, con particolare attenzione alle Service Oriented Architecture (Soa). Qui è dove JBoss porta la propria leadership in campo opensource. Insieme, saremo in grado di creare per i nostri clienti una piattaforma opensource ampia, completa ed end-to-end, che copra dallo sviluppo all’implementazione e alla produzione, passando per testing ed integrazione. Nostro obiettivo comune è quello di usare l’open source per cambiare l’economia dell’It verso i clienti, offrendo loro un percorso verso queste nuove infrastrutture e paradigmi applicativi, che abbini bassi costi e alto valore.»

In chiave proiettiva, come si configura il rapporto con Eclipse?

«Sia Red Hat che JBoss supportano attivamente Eclipse, cosa questa che spingerà ulteriormente il nostro supporto per il futuro. Molti dei plug-in ed il relativo ecosistema saranno aggiunte di valore all’offerta congiunta delle piattaforme Red Hat/JBoss.»

Qual è stato il fattore determinante nell’acquisizione di JBoss, forse Jems (Java Enterprise Middleware Suite)?

«Parlerei di tre elementi chiave: innanzitutto, la tecnologia Jems e il suo ruolo come strumemto di passaggio, a basso costo ed alto valore, allo sviluppo e all’implementazione di applicazioni di nuova generazione basate su Soa.

In secondo luogo, la notorietà e l’immagine positiva del brand JBoss presso gli sviluppatori di tutto il mondo.

Terzo e principale elemento, il talento, la passione e l’impegno dei dipendenti di JBoss. Si tratta di un grande team, che saremo orgogliosi di accogliere all’interno di Red Hat una volta che l’acquisizione sarà conclusa.»

Una curiosità che molti hanno, come si stabilisce il prezzo di un’azienda che fa open source?

«Il valore che può essere attribuito a Red Hat come azienda quotata in borsa che fa open source dipende molto dal cashflow, e dalla crescita prevista del fatturato del nostro modello di business subscription-based. Abbinati alla tecnologia e alla posizione sul mercato, credo che questi siano i fattori principali di valutazione da considerare per ogni azienda che operi nel mondo opensource.»

Singolare il fatto che a quest’ultima domanda Yeaton abbia voluto rispondere mettendo Red Hat in primo piano, e non JBoss. Vorrà forse dire che la società intende darsi un prezzo? Ci sta tutto, ma è più probabile che il manager intenda riaffermare che il valore di una società It lo si misura non solamente sulla base del codice di cui è proprietaria, ma della carica proattiva e, perché no, immaginifica, di cui è portatrice.

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