E-commerce: retailer e acquirenti divergono

Perché un cliente abbandona il processo di acquisto avviato su un sito Internet? La Bocconi lo ha chiesto a 52 manager di aziende che fanno e-commerce, ai quali ha rivolto poi un’altra serie di domande poste contemporaneamente a ottocento consumatori. …

Perché un cliente abbandona il processo di acquisto avviato su un sito Internet? La Bocconi lo ha chiesto a 52 manager di aziende che fanno e-commerce, ai quali ha rivolto poi un’altra serie di domande poste contemporaneamente a ottocento consumatori. Ne è venuta fuori una sorta di intervista doppia che evidenzia qualche importante differenza.

L’indagine parte con i dati sull’abbandono dei siti. Il 16,8% degli utenti molla tutto all’atto della registrazione, il 38,8% durante la ricerca delle informazioni, il 24,1% al momento dell’acquisto, il 16,4% durante il pagamento e il 4% recede dopo avere acquistato.

«Si tratta di dati sui quali è possibile azzardare qualche spiegazione – ha affermato Andrea Ordanini, docente di marketing alla Bocconi che ha curato l’indagine -. Nel numero di persone che abbandona durante la ricerca di informazioni c’è spazio anche per chi sul sito ci va solo per trovare informazioni senza l’intenzione di acquistare. È l’infocommerce, che può anche essere visto come un fallimento dell’e-commerce in qualità di canale di acquisto, dato che l’utente lo usa per informarsi online ma non compra».

La procedura di acquisto troppo complicata spiega parte del 24% che abbandona il carrello virtuale, mentre il 4% che recede può essere interpretato come un dato positivo. Ma la parte più interessante dell’indagine è quella che mette a confronto i due lati della barricata: venditori e clienti. Facilità nei pagamenti e visibilità del sito sono i fattori di successo dei negozi online secondo i primi. Il prezzo conta meno. Non sono molto d’accordo i clienti, che invece online si aspettano di risparmiare, sono sensibili alla consegna e poi alla facilità di pagamento. Per migliorare la performance del sito, i manager intervistati non pensano che i servizi di assistenza ai clienti siano tanto più produttivi della pubblicità, e punterebbero sull’advertising (32%), il miglioramento del sito (23%) e solo per il 15% sul cosiddetto customer care. I consumatori, invece, chiedono un maggiore assortimento ed efficienza della logistica. «Il cliente – ha proseguito Ordanini – vuole più assortimento di quanto l’offerta pensa sia utile offrire. Gli piace vedere più cose».

Per migliorare la relazione con il cliente il retailer è convinto che bisogna offrire online gli strumenti necessari. Una posizione non in sintonia con la clientela che chiede la possibilità di usare il telefono. Un numero verde, a volte, sembra valere più di un link. Su una cosa, però, entrambi sono d’accordo: forum e community non servono a molto. Per combattere la diffidenza dei clienti, insomma, i retailer dovrebbero aumentare le garanzie sulle transazioni, rinforzare il customer care e garantire l’efficienza della consegna.

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