Dopo facili entusiasmi e disillusioni, per l’Italia è tempo di agire

La presentazione dell’Assintel Report 2001 ha offerto l’occasione per fare il bilancio di un anno di net economy e di inquadrare le prospettive nazionali sulla base di quanto fatto. Attesa ancora una forte crescita della spesa It in un contesto di nuovi progetti di e-commerce.

La new economy non esiste, la net economy deve ancora venire. Oggi, piuttosto, dovremo pensare alla real economy. Questa è una delle tante, provocatorie, ma più che condivisibili, opinioni espresse da Maurizio Cuzari, responsabile di Sirmi, durante il recente convegno tenutosi in occasione della presentazione dell’Assintel Report 2001 (realizzato dalla società di analisi per l’Associazione Nazionale Imprese Servizi Informatica Robotica Eidomatica e la Fed). Ultimamente, ce ne rendiamo conto, i nostri lettori sono stati “bombardati” da una serie di rapporti, le cui cifre, peraltro, non sempre concordano, ma che tuttavia riteniamo possano servire per avere, alla fine, una visione globale di come gli analisti interpretano i vari segnali che vengono dal mercato nazionale e quali sono i trend previsti nei prossimi anni.


Entrando nel vivo del convegno, secondo Cuzari, “in Italia dobbiamo smetterla di piangerci addosso” e ha snocciolato una serie di considerazioni e dati relativi alla “mediamorfosi” del sistema Paese. Sono oltre 3,1 i milioni di pc consegnati nel 2000; oltre il 50% dei 3,7 milioni di imprese, che costituiscono il tessuto produttivo nazionale, è It ready; oltre il 28% delle famiglie (21,450 milioni, secondo Istat) possiede un pc; oltre 900mila imprese si collegano a Internet; oltre 5.600 sono i miliardi di lire spesi per soluzioni Ip based e oltre 10mila gli investimenti previsti nel periodo 2000-2002 per reti di trasporto e distribuzione a banda larga. Nel mobile, inoltre, l’Italia è un punto di riferimento a livello mondiale, per cui ci attendono grandi rivoluzioni. Nell’ultimo periodo, comunque, si è assistito allo “sboom” della new economy. Incubator e venture capital hanno buttato milioni (di dollari) in idee ancora al di là da venire proposte da start up o dotcom, tuttavia “sono convinto – ha sottolineato Cuzari – che non è tutto sbagliato quello che abbiamo fatto finora. Il commercio elettronico ha un rilievo che prescinde dalla moda e impatta qualsiasi comparto economico, categoria di clienti, area di business“. Certo è che per ora si sviluppa più nel B2B che nel B2C.


Da parte delle aziende l’attenzione primaria si rivolge più alle soluzioni che alle tecnologie in sé, in quanto i clienti sono sempre più esigenti, operano in ambiti che richiedono più velocità di reazione di quanta i vendor siano in grado di fornire soluzioni adeguate. I clienti, inoltre, stanno diventando più diffidenti e chiedono competenze, concretezza, rapidità e puntualità.


Si è, infatti, calcolato che tra il ’99 e il 2000, nell’implementazione di un Erp di qualsiasi vendor, si è avuto un ritardo medio di ben il 115% rispetto alle previsioni.
Crm, Asp, hosting, thin client, personal devices, technology outsourcing, sono aree nuove di cui tutti parlano, ma che aumentano la complessità che, invece, le società vorrebbero vedere ridotta.


Nell’analizzare più in dettaglio i dati del mercato Ict in Italia, Enrico Acquati, direttore Divisione Ricerche di Sirmi, ha evidenziato come dei quasi due milioni di imprese che sono considerate informatizzate, in realtà il 47,8% possiede solo un pc, il 35,5% da due a cinque, per scendere a un 6,9% che ne possiede da 6 a 9, un 5,8% tra i 10 e i 19 pc, e quindi un frammentarsi di percentuali che indicano come ultima voce solo uno 0,1% che possiede più di 500 pc. Contrariamente agli altri analisti, Sirmi ha attribuito al comparto hardware una crescita nel 2000 del 18,7%, pari a 15.900 miliardi di lire, superiore a quella del software (+10,7% e 5.900 miliardi) e dei servizi (+12,4% e 17.700 miliardi). Questo perché, innanzitutto, ha quantificato in 3,1 i milioni di pc venduti nel 2000, quindi circa un 300mila unità in più rispetto ad altre analisi, in quanto ha tenuto in debito conto tutta quella quantità (spesso sottostimata in quanto sfugge a un vero e proprio censimento), di prodotti realizzati dai vari assemblatori nazionali. Questa crescita dell’hardware è dovuta, principalmente, al fenomeno Internet che ha stimolato l’acquisizione di prodotti hardware non solo da parte delle aziende, ma soprattutto del consumer. E il trend dovrebbe proseguire sostenuto fino al 2005, anno in cui il valore del settore (31.400 miliardi di lire) dovrebbe aver raddoppiato rispetto al 2000. All’interno dell’hardware si evidenziano aree trainanti come lo storage, i pc (che rappresentano oltre il 47% dell’intera spesa hardware), i sistemi e gli apparati di networking, che hanno rappresentato la crescita più elevata (+33,8%) dell’intero settore. Per quanto riguarda il software applicativo, rimandiamo al dettaglio della tabella, mentre nell’area servizi, si evidenziano tre macro aree come: project (che vale 9.600 miliardi), management (7.220) e enhanced support (880). Acquati ha evidenziato che nell’ambito dei project service nel 2000 la fetta maggiore se l’è presa l’attività servizi professionali (5.734 miliardi), seguita dalla system integration (2.136), training (970) e It consulting (760). Anche in ambito management service, tra le varie aree di attività si evidenzia la predominanza dell’outsourcing (5.017 miliardi), seguita dal processing (1.299 mld) il cui trend è dato in continuo calo, dall’hosting/housing/Asp (che dai 493 del 2000 dovrebbe arrivare a 3.165 mld nel 2005), application management (411 mld).


La forte crescita dell’innovazione che coinvolge i paesi più industrializzati, accentua continuamente il divario con i paesi del terzo mondo, come ha sottolineato nel suo intervento il presidente di Assintel, Ignazio Rusconi Clerici. “La “digital devide” è un grosso problema – ha sottolineato il presidente – che non può lasciare indifferenti e che acuisce il gap tecnologico tra le diverse nazioni. Metà dell’umanità non ha nemmeno il telefono, per cui come è pensabile che abbia Internet? Fa riflettere il dato che tutte le connessioni giornaliere alla Rete di New York corrispondono a quante ne avvengono in Africa e di queste il 70% sono del Sud Africa“.


Critico e polemico (spesso a ragione) l’intervento di Andrea Maserati, in veste di presidente Fed. “Stiamo vivendo un periodo di grande confusione – ha esordito – perché siamo in una fase in cui le tecnologie cambiano le regole del gioco. Internet è stata mal utilizzata, tutti si sono buttati per vendere senza prima preoccuparsi che cosa vuole chi deve comprare. Crm, Scm, sigle di cui i media parlano ma che al massimo interessano mille aziende in Italia. Per me Internet è ormai vecchia, la new economy non è mai esistita, non è più possibile l’Internet gratis per tutti. Dopo l’euforia, ecco arrivare la crisi che si annida nelle aspettative esagerate che si erano create. Non basta più un e-qualcosa o un @qualcosa per fare affari. I ritmi di crescita sono tuttavia elevati, per cui vuol dire che si sta razionalizzando il problema. Stiamo vivendo una crisi di crescita“. Però, secondo Maserati, Internet qualche promessa l’ha mantenuta. Si è, infatti, avuto una riduzione sostanziale dei costi di management delle informazioni, sono state unificate le modalità d’accesso, si sono creati modelli di business profittevoli, si è ridotto il costo della formazione. Nel mondo, tuttavia, i siti che funzionano sono meno di mille e l’Italia sta ancora a guardare. “Penso, però, che Internet avrà un grande successo – ha concluso Maserati – perché è una tecnologia invasiva, perché riduce i costi dei processi, ma richiede anche il giusto tempo, perché tutto il sistema e le infrastrutture si devono adeguare. Le proposte interessanti ci sono, è ormai tempo di agire“.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome