Divario digitale, cruccio della Pa

Aumenta il gap tra le famiglie “digitali” e quelle che devono sperimentare l’informatizzazione. Il problema si risolve solo con interventi organici

Come evidenzia il rapporto e-Family 2007 di Confindustria-Anie, l’informatizzazione in Italia cresce lentamente. Il dato è evidente soprattutto nelle famiglie, meno del 60% delle quali ha, oggi, un computer in casa. È vero che il collegamento a banda larga è cresciuto quasi del 100% in 12 mesi, ma i dati quantitativi restano bassi, con appena 3,7 milioni di collegamenti. Aumentano, poi, tutta l’elettronica di consumo e le periferiche, ma solo per quel 56,5% di famiglie che potremmo definire “digitali”, mentre rallenta il passo la diffusione del primo computer domestico e del primo collegamento a Internet. In pratica, il divario digitale invece di ridursi cresce a velocità esponenziale, assumendo la connotazione di un problema di ampia portata che non può essere affrontato, né tanto meno risolto, con un intervento isolato.


Occorre agire su più fronti, quello dell’innovazione tecnologica, quello
dell’infrastruttura e dei nuovi strumenti di telecomunicazione e quello della
concertazione sia verticale (tra i vari livelli istituzionali), che orizzontale
(tra i diversi territori). È proprio prendendo atto di questa necessità che nel
dicembre scorso è stato istituito il Comitato Interministeriale per la Banda
Larga, a opera dei ministri Paolo Gentiloni (Comunicazioni), Luigi Nicolais
(Riforme e Innovazioni nella Pa) e Linda Lanzillotta (Affari Regionali e
Autonomie Locali), che si pone come organo di gestione e coordinamento di tutte
le iniziative di riduzione del digital divide. L’obiettivo è ambizioso: portare
entro il 2011 (data di fine legislatura) la larga banda su tutto il territorio
nazionale. Oltre un miliardo di euro le risorse disponibili.


I limiti dell’iniziativa
privata
Ma perché, ci si potrebbe chiedere, un impegno così forte da
parte del Governo, in un mercato di fatto liberalizzato come quello delle
telecomunicazioni? La questione non è così semplice come sembra e in gioco non
c’è solamente il diritto dei cittadini di poter usufruire dei servizi in rete,
ma molto di più. Lo sviluppo prossimo venturo del nostro Sistema Paese si gioca,
infatti, anche sul terreno dell’accesso alla rete, o meglio, di un accesso alla
rete a larga banda, in grado di abilitare l’utilizzo delle tecnologie digitali
ai massimi livelli di interattività. Per fare impresa in mercati sempre più
delocalizzati; per fare e-commerce e sviluppare reti commerciali con un
orizzonte “mondo”; per utilizzare i servizi integrati di e-government; per
portare assistenza sanitaria e istruzione superando i divari geografici, c’è
bisogno di un’infrastruttura veloce ed efficiente. Sulla larga banda converge,
quindi, il futuro competitivo della nostra economia. Stando agli ultimi dati
disponibili (Osservatorio Between del settembre 2006) la copertura ha raggiunto
l’88% della popolazione. Un dato di cui essere certamente orgogliosi, se non
fosse che ci si avvicina a una soglia oltre la quale sarà difficile andare: il
limite di digital divide di lungo periodo, ovvero quello in cui l’abilitazione
dei servizi di larga banda richiede interventi lunghi e costosi. Al di là di
questa soglia, è impossibile ipotizzare un intervento secondo logiche
strettamente di mercato ed è per questo che la Pa è chiamata a intervenire,
mobilitandosi direttamente o creando le condizioni affinché possa realizzarsi
l’investimento di un privato sul territorio, per non lasciare quel
“piccolissimo” 10% (6 milioni di italiani!) fuori dalle potenzialità di sviluppo
offerte da queste nuove tipologie di collegamento.


Interventi eterogenei
Come ha spiegato Paola Manacorda, presidente del Comitato Tecnico per la Banda Larga, «l’esclusione digitale aggrava l’esclusione sociale e l’unica soluzione possibile è quella di andare gradualmente verso il servizio universale, in modo che sia la collettività a farsi carico di coloro che, pur volendolo, non riescono ad accedere al mondo digitale». Il digital divide
infrastrutturale è, quindi, strettamente connesso a quello sociale e solo
lavorando su entrambi i fronti è possibile pensare di ottenere risultati
tangibili. Le iniziative in questi anni non sono certo mancate, ma i risultati
ottenuti, invece di creare un contesto omogeneo, hanno prodotto una notevole
eterogeneità. Territori completamente cablati e con un’altissima percentuale di
utenti connessi alla rete a banda larga si alternano, su tutto il territorio
nazionale, ad altri assolutamente arretrati da un punto di vista
infrastrutturale.


Per una volta, nord e sud si equivalgono e, anzi, 1/3 dei cittadini soggetti
al divario digitale si trova in Veneto e Lombardia. Di fronte a questa
situazione, i governi locali hanno cominciato già da diverso tempo a cercare
rimedi, utilizzando tutte le risorse, le tecnologie e l’inventiva a loro
disposizione, seguendo linee di sviluppo differenti. Si va dalle dorsali
pubbliche che attraversano l’intera regione (come Lepida in Emilia Romagna), a
interventi per la copertura dei soli territori svantaggiati (come Wi-Pie in
Piemonte); da piccoli interventi mirati alle sole sedi amministrative a grandi
investimenti che coinvolgono diversi livelli istituzionali; da modelli che
utilizzano il cavo e la fibra ottica alle reti wireless, per arrivare fino alle
sperimentazioni delle tecnologie più nuove, come WiMax e Mesh. Il tutto per un
ammontare complessivo di finanziamenti pubblici che, secondo i dati del Comitato
Interministeriale per la Banda Larga, superano i 700 milioni di euro.


Tralasciando per un momento le tecnologie (per le quali si rimanda al box),
non si può dimenticare che, oltre alla dimensione infrastrutturale del digital
divide, vi è quella culturale: le 8 milioni di connessioni attivate nel nostro
paese collocano, infatti, l’Italia al di sotto della media europea di
penetrazione sulla popolazione (appena il 14% contro il 17% dell’Ue25) e
decisamente lontano dalla Gran Bretagna, dai Paesi scandinavi, dalla Francia e
dalla Germania, dove si supera il 18%. In questa situazione, l’intervento
coordinato del settore pubblico è, dunque, più che mai fondamentale. Il Comitato
per la Banda Larga ha, ormai, avviato la sua attività e a luglio ripartirà anche
la fase di diffusione dell’e-government negli enti locali, con l’obiettivo di
diffondere dei veri servizi online. Staremo a vedere.

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