Derba: «Cio e Ad allo stesso tavolo»

Il pensiero fisso della nuova guida di Microsoft sono le Pmi. Ma anche rinnovare la squadra e favorire un cambio culturale, dentro e fuori l’azienda

Mario Derba, 48 anni, è il nuovo amministratore delegato di Microsoft Italia dal primo settembre. È entrato negli uffici della sede milanese di S. Felice nel 2005, per occuparsi dei clienti enterprise e dei partner. Prima ha passato vent’anni in Ibm, dove ha fatto un percorso professionale che lo ha portato in giro per il mondo. Lo abbiamo incontrato.

Qual è il suo primo pensiero della mattina come Ad e l’ultimo della sera?

«Il primo va alle Pmi. L’ultimo al change management. Penso spesso che Microsoft ha avuto un grande successo e che la nostra sfida quotidiana sono i prodotti e le soluzioni. Ma anche avere le persone giuste al posto giusto. Per questo stiamo cercando talenti da inserire nella squadra di management. Dobbiamo traghettare persone dentro l’azienda e inserirne di nuove per un cambio culturale».

Dopo Marco Comastri, lei al timone di Microsoft. Cosa c’è di Ibm che attrae tanto? Solo una buona scuola di management o c’è di più?

«Tre cose. La scuola di management senz’altro, ma anche la scalabilità manageriale e la capacità di vendita secondo le necessità del cliente, che fu la fortuna di Ibm».

Ha lavorato in Sudamerica. È d’accordo con chi parla di sudamericanizzazione dell’economia italiana?

«No. Ma in Sudamerica ci sono cose che noi non abbiamo più, come l’entusiasmo e l’energia. Le percepivo quando sbarcavo a San Paolo, città brutta ma di un’energia incredibile. Energia che in parte ho ritrovato in Microsoft. Siamo una società giovane, età media 36 anni. Spesso mi trovo a dire ai miei che sembrano brasiliani».

Dal suo girovagare, anche in Emea, quali esperienze ha tratto che possono essere valide da noi?

«Ho capito che la globalizzazione qui è poco vissuta. La spesa media It delle Pmi è inferiore a quella di tutti gli altri paesi europei. Per non dire dell’uso scarso che le aziende fanno dell’e-commerce».

Da Ad, qual è il miglior cliente? Quello che compra, paga e sta zitto o quello che chiede sempre qualcosa di più?

«A livello personale, mi piace di più il secondo. Non temo i buyer, c’è stima reciproca con loro, sono di stimolo. Insieme dobbiamo trovare il win-win. Guai a chi pensa di bidonare il cliente».

Quali suggerimenti si sente di dare per aumentare la marginalità, che siano validi erga omnes?

«Mi ispiro a una recente Ceo survey e su tutto bisogna riportare il cliente al centro, riscoprendo l’importanza di innovare rispetto al taglio dei costi. Questi sì vanno ridotti, soprattutto quelli di manutenzione, ma non deve essere il primo pensiero assillante».

Che idea ha dell’It manager italiano?

«Non ha più il camice bianco, ha capito quali sono i nuovi trend, ma è frustrato dall’interazione con il top management, che si aspetta di più dall’It, ma non la capisce. È uno da comprendere e aiutare».

Lo possiamo chiamare Cio?

«Se è un signore che siede nel board e partecipa alle decisioni, si. Ma oggi in molti casi è ancora un It manager».

Sottoposto a tensioni per giunta…

«Lo notiamo dal turnover che c’è in questo momento a livello di medio-grande impresa, frutto forse di una frustrazione reciproca che mina il rapporto fra Ad e It».

Meglio parlare con l’It manager, con l’Ad o con l’imprenditore?

«L’imprenditore, paradossalmente, in questo momento è il meno sensibile alle istanze tecnologiche. Meglio parlare con Ad e Cio, insieme possibilmente».

Italia, terra di Pmi. A livello di energie da profondere per sviluppare il loro mercato, quanto fanno sudare?

«Tanto. E probabilmente non basta. Il nostro investimento marketing rispetto ad altri mercati è superiore, ma dà ritorni inferiori. Bisogna fare di più, e diversamente. Non possiamo cambiare le cose da soli. Bisogna fare gruppo, ad alto livello».

Quanta parte della giornata è fatta da relazioni politiche? Quanta lobby fa?

«Troppo poca, questo è il punto. Vorrei fare di più, parlare meglio alla politica, dove ci sono illuminati, ma sono proprio pochi».

Quali idee per innovare consiglierebbe a un imprenditore?

«Teniamo presente che è un concreto e che quindi vuole vedere il valore. Si tratta di abilitare la sua forza creativa. Dargli un ambiente di collaborazione integrato è sicuramente un buon inizio, che darebbe subito risultati concreti. E poi le comunicazioni unificate, che propongono ritorni sull’investimento in tempo reale».

Sta mettendo mano al suo management: che gioco vuole attuare?

«A zona, il gioco del teamwork. Il vizio delle grandi società è quello dei compartimenti stagni, delle divisioni. Microsoft ha fatto un passo avanti per il bilanciamento delle risorse dando poteri alle sussidiarie. Un po’ più di carta bianca rispetto al passato, che ci siamo subito presi».

Diamo i voti: da uno a dieci, quanto pesa il tema della sicurezza per un Cio?

«Tanto, otto».

E quanto il costo dell’infrastruttura It?

«Uguale, otto. Anche perché la sicurezza è parte dell’infrastruttura It».

Dieci a chi lo diamo?

«All’innovazione».

Il social networking sfonderà nelle aziende italiane?

«Il trend è nuovo, abbiamo soluzioni e partner. Alcuni Cio, come quello di Banca Intesa ci stimolano. È un caso emblematico di innovazione, dove si vede il lungimirante. Ma anche la collaboration è un bel tema».

Cosa fa un manager dopo aver fatto l’Ad di Microsoft in Italia?

«In genere in Microsoft segue un percorso internazionale. Ma per quanto
mi riguarda c’è ancora tempo per pensarci.

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