Dentro la community. Il parere dei partner Oracle

Dedicati al Mobile, alla Business intelligence e al Trasportation, i gruppi di lavoro inaugurati dal vendor offrono visibilità a chi vi partecipa ma in cambio chiedono pieno coinvolgimento

Membri di un club esclusivo… pardon, di una community. Che si figuri fra i 57 partner che a oggi rientrano nel gruppo di lavoro creato oltre due anni e mezzo fa da Oracle in ambito Mobile, o fra la trentina di realtà che lavorano sulla Business intelligence, il risultato non cambia. Sempre di elite si tratta. Un’elite dove si forma, si informa, si fa sharing di competenze e si generano lead.

O, almeno, così parebbe ascoltando Insirio e Value Team, due dei partner che partecipano alle community di Oracle e che Computer Dealer&Var ha invitato (vendor compreso) presso la redazione per capire quali sono i vantaggi per chi si muove all’interno di questi gruppi di lavoro. Riconoscibilità, verrebbe da dire in prima battuta. Perché far parte di un team come questo va oltre l’essere partner certificati.
«Chi vi è incluso è meglio conosciuto sul mercato – spiega Graziano Corazza, presidente di Insirio, business solution integrator di medie dimensioni con sede a Roma, Milano e Messina -. Rientrarvi è un elemento distintivo, tanto che la community diventa centro di referenza, oltre che di competenza».

Partner discontinui prego astenersi

Non senza “oneri” da corrispondere. Che per Insirio sono, soprattutto, di partecipazione: «Ci vuole molta costanza per rimanere all’interno di questi gruppi di lavoro. Oracle richiede incontri a cadenza mensile che, fortunatamente vengono tenuti sia a Roma, sia a Milano, così che volta per volta riusciamo a far partecipare un paio di persone dalle nostre sedi dirette».

D’altro canto, interviene Evelina Peretti, alliances & channel director di Oracle Italia: «In questi due anni e mezzo di lavoro, alcune realtà che rientravano in una o più delle nostre community ne sono uscite.

Perché se è vero che non riescono a entrare quegli operatori che non hanno le caratteristiche adatte, è altrettanto vero che in questo “win to win” dobbiamo muoverci insieme e chi non partecipa con l’assiduità richiesta non rispetta lo spirito della comunità».

È d’accordo Stefano Lattanzi, alliance manager di Value Team, system integrator con piglio consulenziale, presente in Italia con un migliaio di persone e in America Latina con altri 500 dipendenti.
Per il manager: «Non esiste ambito migliore di una community per avere ragguagli sui nuovi prodotti e per comprendere come proporli al meglio sul mercato».

Dimmi a che community appartieni…

A indagarli meglio, però, i vantaggi messi in evidenza dagli interpellati non accomunano tutte le community. Ognuna sembra avere un suo plus. È così per Insirio che, a quella Mobile, riconosce il vantaggio «di poter collaborare attivamente con partner di diverso profilo, senza temere che la competition prenda il sopravvento».

Diverso è per la realtà dedicata alla Business intelligence, «dove il rapporto con i colleghi è già più difficile, perché si è quasi, o tutti, competitor. E, poi, non dimentichiamo che anche le dimensioni connotano una community: nel caso di quella Mobile, per esempio, occorre creare massa critica, mentre per la Bi si parla di “centro di eccellenza”, visto che l’offerta è matura».


Differente ancora il punto di vista di Value Team, per il quale aderire al gruppo di lavoro sulla Bi e a quello in ambito Trasportation significa «realizzare un allineamento strategico rispetto al go to market del vendor di riferimento, beneficiando così di un reale vantaggio competitivo».

Il ruolo del vendor nella community

In tutto questo Oracle ricopre un ruolo di coordinamento, perché sul vendor, a detta dei partner, convergono le diverse esigenze di chi fa parte di una community. «Suo – dichiara Corazzaè l’onere di dosare i vari componenti per far funzionare al meglio la comunità».

Una comunità che, nel caso di Insirio, è molto interessata alle lead generation: «Da quando rientriamo nelle community di Oracle siamo più attenti – ammette Corazza – all’organizzazione di eventi che possono portare a nuovi contatti. E qui, un po’ di concorrenza fra partner c’è, ma se è sana, ben venga. L’importante è avere chiaro in mente un modello di non sovrapposizione».


Diversa cosa è il capitolo dell’estensione delle community all’estero. Per Lattanzi, infatti: «Non andrebbero viste come un canale per vendere fuori dall’Italia, fermo restando l’indubbio miglioramento dei rapporti e il coinvolgimento su nuove aree».

In cerca di ancora più efficacia

Non manca proprio niente, allora, per migliorare queste community? Qualcosa Insirio l’ha in mente e parla di «un’efficacia ancora più grande sui clienti finali che, su alcuni temi in particolare, varrebbe la pena di invitare all’interno dei singoli gruppi di lavoro. Personalmente – spiega Corazzasiamo a Roma, lavoriamo sulla Pa e realizzare tramite la community alcune verticalizzazioni di mercato non ci dispiacerebbe affatto».

La pensa così anche Lattanzi, che afferma: «Se nella Business intelligence è facile trovarsi in competizione fra noi, in ambiti di mercato specifici una competenza di tipo orizzontale potrebbe essere facilmente verticalizzata». Un buon suggerimento, parola di Oracle.



Lo stato dell’arte osservato dal vendor

Nate in Italia due anni e mezzo fa, le community create da Oracle sono state premiate a livello Emea e riconosciute quali best practice dal resto del mercato. «I nostri grandi “nemici” sono due – spiega Evelina Peretti, alliances & channels director di Oracle Italia -: il time to market e il rischio d’impresa dei clienti. In tal senso, i partner che rientrano nelle community contribuiscono ad accelerare l’acquisizione delle nostre soluzioni sul mercato. Al loro interno si fa ricerca e sviluppo, marketing e formazione e i feed back più interessanti correggono il tiro sulle soluzioni che poi proponiamo. La ricerca dei temi, per dar vita a nuovi gruppi di lavoro è, però, complesso. Devono essere argomenti in grado di sostenere lo sforzo che lo sviluppo di un nuovo business richiede. Inoltre, per offrire ulteriore credibilità, invitiamo enti come le Università, che fungono da consulenti esterni che, al pari di hardware vendor come Sun e Hp per l’organizzazione dei laboratori, apportano il proprio contributo che, proprio perché esterno e indipendente, ha maggior valore».

I partner Oracle “visitano” i clienti

La community Oracle Business intelligence ha dato i suoi frutti.Si chiama Bi Check Up e permette di mettere a fuoco i fattori critici che determinano il successo di un’azienda in ambiti di Datawarehousing e Bi. Al suo servizio ci sono tutte e trenta le società che rientrano nella community di Oracle. In tre fasi, denominate “preparazione”, “esecuzione” e “rapporto”, Bi Check Up evidenzia il livello di adozione di strumenti di analisi del business, di capire le opportunità di investimento e di raccogliere indicazioni tecniche, organizzative, strategiche e commerciali per la creazione di applicazioni di successo. Il tutto tramite un consulente della community a disposizione del cliente.

Community promosse all’unanimità dai partner

«Vendiamo tecnologia, certo. Ma soprattutto forniamo ai clienti una forte specializzazione sulla conoscenza strategica dei processi in ambito Trasportation».Che l’unione faccia la forza e che un “bollino” chiamato community apra più porte che un solo biglietto da visita, ne è convinto Fabio Pacelli, presidente di Software Design 1.

La società inglese, che in Italia ha sede a Pozzuoli (Na) e impiega circa 70 persone, è fra le 26 realtà che, a oggi, rientrano nella Trasportation Community Oracle annunciata lo scorso luglio e che proprio il 19 aprile, a Bologna, organizzerà il suo primo evento aperto ai clienti finali.

«Poter beneficiare del brand Oracle e dell’expertise degli altri partner – puntualizza Pacelli – ci permette di offrire al mercato delle best practice e di assicurare ai clienti che le tecnologie che si mettono in casa ci sono oggi, ma ci saranno anche domani. Ognuno di noi, poi, ha il suo territorio di riferimento. L’opportunità in più che ci aspettiamo è di riuscire, attraverso un brand così forte e a una proposition così allargata, di sensibilizzare i clienti del settore e acculturarli all’utilizzo di nuove tecnologie».


Un pensiero, quest’ultimo, che accomuna anche Pietro Scanabissi, Rfid manager Emea di Gruppo Datalogic 2, multinazionale che da oltre due anni gravita nella Mobile Community di Oracle, sotto il cui cappello c’è posto anche per le tecnologie in radiofrequenza e wireless.

Tematiche certamente sulla bocca di tutti, «ma per le quali – secondo Scanabissi – promuovere attività di education a cura di Oracle avrebbe riflessi positivi sia sul mercato, sia sulle aziende che fanno parte della community».

La stessa che permette, a realtà focalizzate sull’hardware come Datalogic, di fornire ai potenziali clienti (ed è questo il vero plus indicato dal manager interpellato) una serie di soluzioni che si avvalgono delle competenze di un gruppo di partner che apportano il proprio contributo. Ma non solo.

«Entrare nella Mobile Community – puntualizza Scanabissi – ci ha permesso di bussare con successo alla porta di Università ed Enti pubblici, con i quali Oracle ha familiarità, mentre la nostra è più una specializzazione di prodotto per ambiti come quello Industry».

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