Ddl sicurezza: il provider diventa filtro

Polemiche per l’articolo 50 bis contenuto nel decreto sicurezza: ai provider il compito di bloccare le pagine Internet in base alle indicazioni del Ministero. Pena la corresponsabilità in apologia di reato e reati di opinione.

Rischia di aprire un nuovo capitolo nel mai davvero sopito braccio di ferro tra legislatori e utenti della rete il disegno di legge 773, vale a dire il pacchetto sicurezza.

Importanti sono infatti le responsabilità che il disegno introduce per i provider, ai quali viene attribuito un compito di controllo e filtro sui contenuti, pena corresponsabilità in reati di opinione.

Nel decreto si introduce in particolare l’articolo 50-bis “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”, nel quale si legge:
[…]Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. […]

La questione assume contorni delicati e, evidentemente, controversi.
Agli Isp viene di fatto assegnato il compito di filtrare, isolando, entro 24 ore dalla richiesta del Ministero, la pagina o le pagine indicate.
Non lo facessero, incorrerebbero nel rischio di sanzioni da 50.000 a 250.000 euro e soprattutto nel rischio di incriminazione per corresponsabilità in reati di apologia o istigazione, con pene che vanno, a seconda dei casi, da 5 mesi a 5 anni.

Si tratta, in sintesi estrema, di un’estensione di quanto già previsto per la pedopornografia online e il gambling. Estensione che va però a toccare una materia molto meno definita come il reato d’opinione, il cui confine con il diritto costituzionale alla libera espressione sembra talvolta essere davvero labile.

Per altro, anche le modalità di intervento dei provider non sono ben delineate. Il rischio concreto è che in taluni casi, non avendo la possibilità concreta di bloccare la singola pagina o il singolo contenuto, il provider si trovi costretto, pena incorrere nelle sanzioni di legge, a inibire un intero server.

Nel mirino del legislatore, e in particolare del senatore Giampiero D’Alia che si è fatto promotore di questa iniziativa, con l’introduzione di questo articolo rientrano in particolare i social network e il riferimento alle recenti diatribe su Facebook, che ospita e ha ospiitato gruppi inneggianti a capi mafiosi o agli stupratori di Guidonia o ancora ai coniugi di Erba, non è casuale.

I provider, dal canto loro, non ci stanno e chiedono che l’articolo venga stralciato o che venga meno il criterio di corresponsabilità nel caso non riescano a effettuare il filtraggio nei tempi richiesti dal ministero. 

La domanda da parte della rete, tuttavia, è sempre quella che si legge ogni volta che di rete il legislatore parla. Perchè quando si tratta di promulgare queste delibere non si chiamano al tavolo anche gli esperti, quelli davvero in grado di comprendere tutta la complessità e tutte le implicazioni della materia?
Stefano Quintarelli, esperto in materia, lancia anche un suggerimento semplice: esiste la Fondazione Bordoni, che da sempre coopera con il  ministero delle Comunicazioni. Non sarebbe male coinvolgerla, per lo meno da adesso in poi.

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