Ovvero, la nuova via degli sviluppatori, chiamati a rivestire un ruolo di abilitatori
13 marzo 2003 L’It è certamente uno dei mercati più generosi in
termini di innovazione. Ogni grande impresa è impegnata a garantire ogni anno al
mercato una abbondante dose di nuove tecnologie e nuovi prodotti. Peraltro,
chiunque abbia sacrificato l’innovazione ha pagato un prezzo altissimo.
Anche se non tutti investono con lo stesso criterio.
Dell ad esempio si
vanta di avere performance di mercato impareggiabili con una quota di R&D
(ricerca e sviluppo) decisamente inferiore a quella dei concorrenti. Ma Dell è
Dell, ovvero un’eccezione del tutto particolare perché se è vero che questa
impresa spende meno di altri nella ricerca sui nuovi prodotti è altrettanto vero
che spende forse più di altri nello scovare e creare nuove metodologie,
infrastrutture e processi che consentano di produrre e vendere a costi
inferiori.
Sempre di ricerca si tratta.
C’è poi un genere speciale di
innovazione nel quale l’It è decisamente all’avanguardia ed è il cosidetto
marketing strategico. Almeno ogni anno i grandi dell’It, estraggono dal loro
cilindro una tecnologia, una infrastruttura, un modello organizzativo o
funzionale, una filosofia d’uso, un “qualcosa” che promette di migliorare
drasticamente il livello delle performance e delle opportunità dell’It in
azienda o a casa.
Nei tempi più recenti c’è stato Internet, c’è stato
l’e-commerce, c’è stata la banda larga e l’accesso, c’è stata azienda integrata
e poi c’è stato il mito del cliente integrato nell’azienda.
Tutti fenomeni
più o meno vasti che hanno messo al lavoro il marketing delle grandi imprese per
trasformare delle opportunità legate a prodotti o tecnologie in bisogni
inderogabili.
Da qualche tempo è la volta dell’It on demand.
Accantonati, ma solo provvisoriamente, web ed e-commerce, i grandi premono
su un accelleratore rivoluzionario che spinge a considerare l’It alla stregua di
altri servizi come l’energia elettrica, il gas, l’acqua. Il concetto è
banalizzato nel facile e convincente slogan: pagate per ciò che vi serve.
Lasciate ad altri gli oneri delle strutture e delle infrastrutture e, per
l’appunto, usate la rete e i fornitori come se fossero dei semplici rubinetti di
potenza elaborativa.
Per il momento però l’It on demand è solo una bella
ipotesi di lavoro, una ragionata e convincente evoluzione di concetti sui quali
i fornitori hanno lavorato da tempo: outsourcing, housing, Asp, Xsp.
Una
ipotesi che fa leva sul bisogno tutt’ora insoddisfatto e crescente di portare
all’esterno le complessità dell’ It d’impresa.
Le suggestioni del marketing
partono peraltro da una vecchia storia: i centri Edp crescono sempre più,
richiedono sempre maggiori risorse e maggior attenzione pur non rappresentando
il core business dell’azienda.
Nello stesso tempo i manager delle imprese
sono chiamati a semplificare, a badare ai risultati e a concentrarsi, guarda
caso, sul vero core business.
l’It resta strategica ma nei servizi che può
mettere a disposizione dell’impresa, non nella sua gestione interna.
In
questo scenario l’It on demand sviluppa una formidabile attrazione, se si usa
solo ciò che serve, quando ne serve poco, in teoria, si paga poco.
Insomma
per un messaggio di questa portata il momento è quello giusto. Soprattutto
perché l’It on demand non promette necessariamente di far abbbassare dei costi
quanto di sradicare l’insidiosissimo rischio dell’imprevedibilità dei costi It.
Se i rischi collegati a prodotti e tecnologie sono trasferiti all’esterno
restano solo i bisogni che sono determinabili con maggior precisione e dunque
più facilmente governabili.
Tornando alla questione centrale della
realizzabilità di questo modello oggi prevale la perplessità. Così come viene
promesso dagli slogan l’It on demand può esistere solo per quei pochi grandi
casi che servono per l’appunto come esempi da portare sul mercato. Al contrario
se si abbraccia un concetto più vasto e si salta dall’It on demand al concetto
assai più complesso (ma non poi così lontano) di web services allora la
questione investe un numero decisamente superiore di interlocutori.
Certo
parlare di web service e di librerie di documenti e applicazioni disponibili sul
web non accende gli stessi entusiasmi, e così pure il Grid computing, sul quale
Ibm sta tanto lavorando e investendo, fatica a fare breccia nel cuore del
management non tecnico. Eppure su questo crinale il concetto di trasferire
all’esterno non tutta ma una buona parte della complessità dell’It è già più
vicina alla realtà.
E soprattutto apre delle opportunità del tutto inedite
che servono non solo per “ridurre i costi” ma per garantire alle aziende un
nuovo sistema di collaborazione e interoperabilità aperto al web, vale a dire a
un numero crescente di relazioni con potenziali clienti e fornitori. In questo
contesto un grosso lavoro potrà essere svolto dalle software house e dagli
integratori.
Web services significa infatti un grosso business di
“abilitazione” dei contenuti aziendali agli standard del web. E all’Xml in
particolare. In conclusione l’It on demand è oggi soprattutto marketing e a
parte alcune grandi eccezioni non ha ancora i mezzi per trasformarsi in un
modello reale per le imprese utenti. Nello stesso tempo però serve per modellare
una nuova cultura di esternalizzazione e outsourcing diversa da quella del
passato che può essere la premessa per la diffusione e l’utilizzo su vasta scala
ad esempio dei web services.
Non è realistico azzerare l’It e sostituirla
con un rubinetto attaccato alla banda larga. E’ sensato pensare di ridurre
il livello di complessità interna e di trasferire nello stesso tempo sul web
molti più valori e in modo più efficace. Ma non bisogna dimenticare che anche
questo processo non sarà gratuito.





