Dai costi della non qualità un freno al profitto

Come gestire lo sviluppo di un progetto riducendo al minimo errori e difetti: l’intervento di Alessandro Brun, docente di Quality Management al Politecnico di Milano

Se noterete una riga o ammaccatura sulla vostra nuova automobile giapponese dopo averla appena ritirata dal concessionario, ricordatevi che una macchina realizzata a Tokyo è stata messa in moto e spostata almeno una decina di volte, prima di arrivare dal rivenditore. Questo significa dieci occasioni per provocare un piccolo danno o difetto sul mezzo. Senza contare i possibili errori in catena di montaggio. La qualità, insomma, è un parametro piuttosto difficile da controllare in ogni dettaglio. Alessandro Brun, docente di Quality Management al Politecnico di Milano, ha riassunto così, in un recente seminario di Assolombarda, i problemi che un prodotto può incontrare nel suo percorso dalla fabbrica al cliente.

Una gestione a zero scorte: Toyota docet
Soprattutto quando la crisi economica stringe i lacci intorno alle aziende, diventa cruciale pensare ai costi della non qualità, cioè a quanto incide sul fatturato una valutazione poco accorta degli obiettivi e risultati di un progetto. Per esempio, ogni euro risparmiato nell’acquisto di materie prime grazie alla riduzione degli scarti, è un euro in più di profitto. A ribaltare così la prospettiva, qualche manager potrebbe saltare sulla sedia. Si tratta, infatti, di ridurre al minimo le interferenze: scarti di magazzino, tempi morti, reclami, spese legali, interventi in garanzia, eccesso di scorte.

È ciò che ha fatto la Toyota – e poi altre aziende giapponesi – dagli anni ’50 con il celebre principio del “just in time”, capostipite moderno della produzione a zero scorte per avvicinare quanto più possibile il ritmo industriale alle richieste del mercato. Questa filosofia si è poi evoluta in altri metodi, come il Total Quality Management, il Six Sigma e il Lean Thinking (il pensare snello); il minimo comune denominatore è sempre il controllo minuzioso del ciclo produttivo per cancellare le imperfezioni.

L’organigramma Toyota – ha spiegato Brun – prevede delle riunioni, oltre alle classiche caselle con le varie funzioni e i nomi dei relativi dirigenti. Manca un responsabile della qualità, perché la responsabilità è condivisa da tutti i manager, che periodicamente si riuniscono per rivedere l’intero flusso di un prodotto e se questo corrisponde agli obiettivi prefissati. Un altro cardine del sistema giapponese è accorciare il tempo che un’azienda impiega per rispondere alla richiesta di un cliente, cioè il “lead time”.

Cambiare la percezione dei clienti
Qui diventa prioritario concentrarsi sulla qualità percepita dal cliente. Un primo esempio fornito da Brun riguarda la carta servizi di un aeroporto per i tempi di consegna dei bagagli. Innanzi tutto, per fornire un servizio quanto più possibile omogeneo, occorre stabilire il tempo medio per il trasporto del primo bagaglio e quello medio per il trasporto dell’ultimo collo. Inoltre, la misurazione dovrebbe considerare il 95% dei casi, a prescindere dalle cause speciali di ritardo (come uno sciopero). È inutile, poi, accelerare a dismisura le operazioni, perché i passeggeri impiegano un certo numero di minuti per scendere dal velivolo e raggiungere l’area ritiro dentro l’aeroporto.

Quando è impossibile intervenire sugli aspetti infrastrutturali, bisogna migliorare quelli “soft”. L’esempio è un parco divertimenti come Eurodisney. Le code sono inevitabili, salvo aumentare sensibilmente il numero di attrazioni (con costi ingenti). Allora si può agire sulla percezione: una coda a zigzag, dove si cammina, è più sopportabile di una fissa. Le incursioni di clown e attori travestiti da pupazzi aiutano a distrarre i bambini; se un cartello indica che mancano 30 minuti all’ingresso – quando in realtà sono venti – contribuisce alla soddisfazione di chi è salito sulla giostra prima del previsto.

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