Crm stupefacente

Nato per i consumatori americani, il Customer Relationship Management non necessariamente è applicabile ovunque

15 gennaio 2004

Durante le ultime festività gli economisti americani si sono esaltati a riverificare l’accadere di un evento ormai classico degli ultimi anni: l’assalto ai mall (alias, centri commerciali) a Santo Stefano. Pare, infatti, che il consumatore americano spenda di più dopo Natale.


Il consumatore, alias, il cliente. Ovvero il fulcro di tutta l’economia americana, che, per il 75% è tirata dal consumo interno.


E in un’economia che viaggia, stando agli ultimi dati, su un +8 e rotti per cento, è lecito che si dedichino le migliori attenzioni al consumatore, alias il cliente.


Basta questo a far capire perché gli americani abbiano inventato il Crm, Customer relationship management, e ne abbiano diffuso il concetto, avvezzi come sono all’esportazione delle loro agnizioni, come la democrazia.


Il Crm non è il frutto della ventata di neoconservatorismo che sta alitando su tutto il mondo da un paio d’anni a questa parte: è nato molto prima. Mai come adesso, però, complice la permeabilità delle economie occidentali, sta diventando un obbligo morale (e quindi del tipo peggiore) per i nostri capitani d’azienda, esclusi quelli emiliani.


C’è, però, che i presupposti sono differenti. Le nostre economie non sono, storicamente, tirate dai consumi interni, e meno che mai in questo periodo storico, dove vige la contrazione del consumo e l’aumento del risparmio (propensione, questa, osteggiata dalle istituzioni finanziarie che caldeggiano l’indebitamento del consumatore, allietandolo con tassi accomodanti).


Da noi, piuttosto, il genoma economico-mercantile porta a scrutare al di là della frontiera, per fare affari ed esportare geni e capacità produttiva. E nel farlo ci sono problemi, stante anche una valuta comune che si frappone con il proprio carico di competitività.


Insomma, il meccanismo non gira fluidamente. E vogliamo pure aggiungerci il sassolino del Crm?


Il fatto è che, da noi, c’è Crm dove c’è domanda di consumo effettiva. Prendiamo gli stupefacenti (no, non è un’esortazione).


Sulle montagne del Rif marocchino si producono, in 134mila ettari, le 3080 tonnellate di hashish (due raccolti l’anno) che fanno vivere 800mila persone, producono il 50% del reddito locale, generano un giro d’affari di 12 miliardi di dollari e soddisfano la domanda di consumo europea, garantita da un’efficiente rete di distribuzione orchestrata, con una flotta da far invidia ai migliori armatori, dai narcos nordafricani.


Ecco un mercato che funziona perché c’è il cliente e a questo si asserve, con tutte le stimmate dei fenomeni capitalistici, quelli cioè che si fanno beffe delle controindicazioni, come le ripercussioni ambientali (secondo l’agenzia statale marocchina, infatti, la coltivazione degli stupefacenti sfrutta troppo il suolo, contribuisce alla deforestazione e aumenta l’aridità del territorio. Ma chissenefrega se arrivano i dollari).


Ma tutto funziona perchè c’è domanda. Ecco, il Crm, da noi, al contrario che negli Usa, se proprio lo si deve fare, dovrebbe preoccuparsi più della domanda reale che di quella presunta. Da qui a capire di quanto Crm abbiamo realmente bisogno, è un flash.

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