Cresce la qualità dell’export italiano

Il rapporto Unioncamere-Istituto Tagliacarne mette in risalto la risposta del sistema industriale alla concorrenza. Innovazione contro i cinesi

Meno imprese ma più grandi e solide. Il rapporto Unioncamere-Istituto
Tagliacarne certifica la scomparsa di 14.200 imprese nel primo trimestre 2007,
ma dice anche che la risposta alla crisi c’è stata e che i timori di un declino
della struttura industriale italiana non sono più così forti.




“Oggi – ha detto il presidente di Unioncamere Andrea Mondello –
possiamo guardare alla nostra realtà economica senza l’ipotesi
catastrofista
che gravava su di noi”
. La crescita del Pil nel 2007
dovrebbe essere del 2% e gli investimenti dovrebbe salire del 3,2%. La
burocrazia costa però sempre di più alle aziende. Circa 15 miliardi di euro nel
2006 contro i 13,7 del 2005, mentre le esportazioni italiane perdono quota anche
se è aumentato il valore delle merci che vanno all’estero. E proprio dai
dati relativi all’export arrivano segnali positivi per l’innovazione
e
per il valore che può avere per le aziende.




L’analisi effettuata dall’Istituto Tagliacarne
rivela infatti che la perdita di competitività delle imprese italiane non è
stata generalizzata e che la concorrenzialità delle merci italiane si gioca
sempre di più sulla qualità come dimostrerebbe anche l’incremento del 25% del
valore medio unitario delle esportazioni dalla Penisola tra il 2000 e il 2006.
In tutto questo un ruolo importante è giocato dal contenuto di
tecnologia dei prodotti
e quindi dalla capacità innovativa delle
aziende.


Considerando infatti i prodotti caratterizzati da un contenuto di tecnologia
basso o assente i dati dl rapporto indicano che l’Italia è passata dal secondo
al quinto posto in dieci anni nella classifica dei partner commerciali della Ue
con una perdita di quote di mercato del 2,6%. In netta crescita Russia e Cina,
mentre pagano dazio anche Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
Rimanendo in questa fascia rimaniamo però leader, con quote di mercato superiori
al 50%, in settori come la lavorazione della pelle o del cotone e nella pasta.


“Questo – scrive il rapporto – sembrerebbe quindi confermare le prospettive
positive nel riposizionamento
operato da molte imprese (spesso medio-piccole e piccole) su segmenti a più alto valore aggiunto e a più elevata specializzazione tanto da poterle identificare oggi come il cuore – a elevata qualità – delle filiere produttive internazionali”
.



Il gruppo delle produzioni con un livello medio di contenuto tecnologico risente invece in misura minore della concorrenza delle economie asiatiche e dell’Est Europa. In dieci anni ha perso infatti l’1% così come è successo a Germania e Francia. “Anche per questa categoria merceologica sembra essere in atto un riposizionamento dei nostri operatori verso le fasce più alte del mercato”.




Il 47% dei beni medium tech ha registrato una perdita di quote di mercato in termini di valore nel decennio. Questo dato arriva al 61% se si considerano le quantità. “Il divario tra valore e quantità risulta essere più ampio di quanto visto per i beni a bassa tecnologia, a sottolineare come l’Italia sia riuscita a estendere a una larga parte delle produzioni con contenuto tecnologico medio il processo di trasformazione volto al miglioramento qualitativo”.
Non particolarmente rilevante è l’ultimo gruppo composto
dalle produzioni ad alto contenuto tecnologico che vale l’11% delle esportazioni
nazionali e che per la sua eterogeneità non può offrire sufficienti spunti di
analisi.





I dati precedenti portano i curatori del rapporto a
tirare un paio di importanti conclusioni. La prima è che la concorrenza
cinese
e degli altri Paesi ha spinto molte aziende ad alzare il
livello qualitativo delle merci

vendute all’estero. In questo caso l’innovazione, sia di contenuto tecnologico del prodotto, di processo o di design, gioca un ruolo chiave. Il secondo elemento riguarda le imprese di eccellenza.
“In alcuni casi la
leadership commerciale sembra ascrivibile alla abilità di poche imprese di
intercettare prima delle altre le dinamiche del settore. In altre, che
rappresentano la grande maggioranza, gli ottimi risultati derivano da
un’evoluzione dell’intera filiera di appartenenza . Un’evoluzione che quasi sempre nasce dalla capacità di alcune imprese generalmente di media dimensione di trainare l’intera filiera (formata da imprese artigiane e di piccole dimensioni) proponendosi come trai d’union tra dimensione locale, il distretto, e la dimensione globale”
.

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