Confindustria: Ict al centro del Sistema-Italia

La crisi ha aumentato la frammentazione del mondo produttivo. Regole ed accordi vanno ripensati e i processi reingegnerizzati grazie all’Ict. Si può fare anche in Italia, ma da noi serve più attenzione che altrove.

Confindustria ha dedicato all’Ict il suo Decimo rapporto annuale, presentato oggi nella sede romana. Principalmente rivolto al sistema-Paese, successivamente è stato verticalizzato sull’argomento specifico, espresso nel titolo “Se l’Italia punta sull’Ict”.
Un elemento su tutti sembra essere la necessità di obiettivi comuni in sede europea: “senza la cessione di poteri nazionali agli organismi comunitari, la riforma della governance resterà un guscio di regole”, ha ammonito Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria.
Di fatto la crisi ha reso ancora più disomogenea la situazione degli Stati tra loro e anche tra comparti e distretti dei singoli Stati, rendendo difficilissimo adottare misure medie valide per molti e richiedendo un elevato numero di soluzioni su misura.
E’ però opinione diffusa che oggi gli investimenti in Ict valgano per tutti i casi e siano comunque più redditizi di quelli in altri settori, anche e soprattutto per la pervasività di informatica e telecomunicazioni. L’Italia soffre di una minore competitività e quindi sarebbe opportuno investire prevalentemente in infrastrutture strategiche quali appunto il digitale.
Tutti gli indicatori, compresi quelli del Centro studi Confindustria, raccontano una realtà piuttosto chiara: investire in tecnologie digitali di elaborazione e trasmissione dati porta da subito benefici in termini di fatturato alle aziende e di Pil allo Stato, in una estrema sintesi del bel rapporto del Csc coordinato da Luca Paolazzi. Ma i dati a disposizione indicano, tra l’altro, che il 57% delle aziende nostrane non coglie l’importanza dell’investimento in Ict, un elemento che -sposato con la ridotta innovatività delle Pmi di cui l’Italia è costituita- sottolinea la staticità generale.

Rigidità del Sistema
L’Italia è una nazione rigida, che per impostazione e strutturazione non risponde con velocità. Ne consegue che ogni grosso impulso economico viene filtrato e produce effetti molto limitati. Ad indicare questa caratteristica nostrana è adattissimo un recente neologismo: se da molti anni si parla di flessicurezza (flexicurity), ovvero sicurezza di trovar lavoro in un panorama economico mutevole, in Italia c’è rigicurezza (rigidicurity), nel simpatico ed indicativo termine prodotto da Daniel Gros, direttore del Ceps (Centre for European Studies).
“L’Italia ha difficoltà a reagire ai cambiamenti”, ha detto Gros, ricordando altri casi in cui investimenti specifici non hanno avuto grosso effetto, “per cui non è detto che un grosso investimento in Ict porti quei grandi benefici diretti che si sono avuti per esempio in Uk”.

Nella Pa, l’Ict è in rimonta
Alcune situazioni sembrano indicare che il buonsenso nel ridisegnare i processi con l’aiuto dell’Ict porta benefici e risparmi. Secondo il Nono rapporto europeo della Commissione europea, DG per Information society e media, nel biennio 2009-2010 l’e-Gov italiano ha fatto passi da gigante ed ora è primo nel benchmark della Full on-line availability, con un’enorme crescita sul periodo precedente. Meno bene, ma non malissimo, andiamo per l’apertura di nuove aziende e per l’e-procurement.
“Non abbiamo speso molto in Ict perché gli investimenti erano già stati fatti prima”, ha spiegato Renato Brunetta, Ministro per la Pa, “ma ci abbiamo messo progettualità, insieme ad una nuova normativa e alla semplificazione”.

Coesione tra le parti sociali
Certamente dovremo investire in questo settore cercando di farlo con giudizio e non solo per riempire gli uffici di personal computer. “La ripresa italiana porta ad un incremento del Pil dell’1% mentre dovrebbe essere almeno al 2%”, ha detto Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria; “noi crediamo che l’Ict sia una chiave per migliorare la situazione e quindi noi per primi c’impegneremo”. Altri punti essenziali sono una nuova coesione sociale, anche con un diverso rapporto con i sindacati per una più morbida gestione delle deroghe ai contratti nazionali, in attesa che il Governo, nonostante la situazione, faccia la sua parte in Italia e con l’Europa.

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