Confcommercio, imprese sempre più in difficoltà con l’accesso al credito e burocrazia

Nel terzo trimestre 2012, solo il 30,8% delle imprese dei servizi, commercio e turismo non ha avuto alcun problema nell’accesso al credito, contro un 19,3% che è rimasto al palo senza riuscire a soddisfare le proprie esigenze finanziarie e un 49,9% che ci è riuscito ma ha avuto difficoltà.

Le imprese
italiane sono strette in una morsa sempre più allarmante tra burocrazia e difficoltà di accesso al credito. E’ quanto emerge
dalla ricerca “Credito e
Burocrazia: il gattopardo delle imprese”,
realizzata da Confcommercio. I
numeri parlano chiaro. La Banca Mondiale ha calcolato che seguire le proprie vicende fiscali sottrae alle aziende
italianemediamente 36 giorni lavorativi all’anno: il
76% in più della media Ue
e, per allargare il confronto, il 46% in più dei
paesi Ocse. Secondo la stessa fonte, aprire
un’attività costa nel Bel Paese il 18,6% del reddito
pro-capite, contro una media Ocse del 5,6%.Mentre gli adempimenti fiscali sono in media 120 all’anno per azienda.

Secondol’Istat le
imprese che segnalano un inasprimento dell’accesso ai prestiti bancari a
settembresono aumentate in un
solo mese dal 24,5% al 28,2%. E l’ultimo Bollettino Economico della Banca d’Italia, nel confermare il trend di stretta creditizia, denuncia,
dati di agosto, un costo del prestito bancario alle imprese di circa 70 punti base superiore a quello medio dell’area Euro.
Che sale a 86 se si fa il
confronto con la Germania.

Doing Business 2013”, la decima edizione del report
della Banca Mondiale che misura gli standard
di efficienza finanziaria e semplificazione
amministrativa di 185 diversi Paesi, ha riconosciuto
all’Italia per la prima volta dopo anni un
recupero di competitività. Ma è una lotta tra
poveri: il nostro Paese passa dall’87mo al 73mo
posto. Superando finalmente Albania, Zambia e
Mongolia. Ma restando anni luce lontana dai suoi
veri competitor: è vero che Francia e Germania
hanno perso posizioni, ma sono rispettivamente
34ma e 20ma. E il Regno Unito occupa
addirittura la settima posizione.

In questo quadro per
nulla rassicurante si collocano i fabbisogni
finanziari delle imprese. Più nel dettaglio, secondo
l’Osservatorio Credito di Confcommercio, nei mesi di luglio,
agosto e settembre, solo il
30,8% delle imprese dei servizi, commercio e
turismo non ha avuto alcun problema,
contro un 19,3% che è rimasto al palo senza
riuscire a soddisfare le proprie esigenze finanziarie
e un 49,9% ci è riuscito ma ha avuto
difficoltà.

Il saldo negativo,
che migliora man mano che crescono le
dimensioni dell’impresa, ha una distribuzione
territoriale molto disomogenea: gli indici peggiorano
velocemente mano a mano che si procede verso
Sud. Il Mezzogiorno e le isole, le aree più penalizzate del paese in termini di credit crunch, sono infatti quelle dove
per le imprese è più
difficile far fronte alle proprie esigenze finanziarie.
Qui, infatti, la percentuale di queste imprese
arriva addirittura a quasil’88%.

L’ultima analisi
dell’Osservatorio sul credito di Confcommercio,
condotta su un campione di 1.443 imprese,
evidenzia inoltre che nel terzo trimestre 2012 anche una
diminuzione del numero delle imprese che si sono
rivolte alle banche per chiedere o
rinegoziare affidamenti e prestiti: lo ha fatto il 15,7% delle
imprese del terziario (5npunti in meno
rispetto al secondo trimestre). Un valore
ai minimi dal 2008
che testimonia la gravità della crisi. Anche in questo caso,
l’andamento degli indicatori denuncia un
paese diviso in due
e peggiora
sensibilmente sia nel Centro Italia che nel Mezzogiorno e
nelle isole. Mentre, infatti, nelle regioni del
Nord l’area di allentamento resta comunque sempre
al di sopra di quella di irrigidimento,
dalla Toscana in giù cambia tutto. Nel Centro,
chi dichiara di non aver ottenuto quanto
richiesto, o aver comunque ottenuto meno, è il 55,2%
(contro il 21,4% dei soddisfatti). Nel
Mezzogiorno e nelle isole, poi, questa
“forchetta” si allarga ulteriormente arrivando ad oltre 40
punti percentuali: l’area di irrigidimento è al
55,9%, contro il 15,3% di quella di
allentamento. Se poi si moltiplica
la percentuale di imprese che hanno richiesto
finanziamenti al sistema bancario per la percentuale di quelle
che si sono viste accogliere la richiesta, otteniamo
la percentuale delle imprese del terziario di
mercato che ha effettivamente avuto finanziamenti
sul totale delle imprese: appena il 4,9%.

 Per
un prestito da un milione di euro in 5 anni le imprese italiane sborsavano
mediamente nel luglio scorso il 6,24% contro il 4,14% e il 4,04%,
rispettivamente, di quelle francesi e tedesche. E se l’importo del
finanziamento scende e l’impresa richiedente ha dimensioni modeste, il conto
può diventare molto più salato: per un prestito da 15mila euro da restituire in
72 mesi, difficilmente una Pmi o una start-up potrà scontare tassi inferiori al
10%. Coosì come per un affidamento da 5mila
euro sul conto corrente bisogna calcolare un costo minimo annuale di 160 euro.
E questo sempre che non si sconfini mai dal fido, altrimenti i costi lievitano
fino a sfiorare i tassi di usura. Perché nel frattempo il
governo ha dato ascolto alle banche
reintroducendo sotto una nuova veste la commissione
di massimo scoperto
chiamandola
“Commissione disponibilità fondi”.La situazione è
tale che il recentissimo rapporto “Doing
Business 2013”
riporta che per l’accesso
al credito l’Italia si colloca alla 104ma posizione su 185
Paesi presi in
esame.

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