Concluso il merger Atos Origin attacca con rinnovate strategie

Il compito più difficile dell’integrazione tra le due realtà è toccato all’Italia, dove le aziende avevano una massa critica simile, di circa mille dipendenti. Ora il nuovo management deve recuperare il mordente perduto.

Nuova guida e nuove strategie per Atos Origin in Italia. A un anno dall’annuncio del merger tra le due società, abbiamo voluto fare il punto della situazione con il neoeletto amministratore delegato, Giuseppe De Gregori, proveniente da Atos.

A suo tempo le perplessità legate al merger erano relative alla diversità di cultura esistente tra le due aziende, dal momento che, secondo gli osservatori, Atos aveva soprattutto fama di società attiva nel body rental più che nella realizzazione di progetti It. Condivide questa opinione?


In realtà è un’immagine non corretta, in quanto dall’inizio era evidente una certa complementarietà. Dal punto di vista geografico Atos era una società con una presenza europea, mentre Origin aveva più una distribuzione mondiale in quanto ha seguito l’espansione internazionale di Philips. Anche riguardo all’offerta c’era complementarietà, in quanto Origin, nata come società del gruppo Philips, aveva una connotazione prettamente industriale, mentre Atos operava soprattutto nel mercato bancario e finanziario. In Europa si sono verificate situazioni abbastanza semplici dal punto di vista dell’integrazione, perché là dove era forte Atos non lo era Origin e viceversa".

Tranne però che in Italia, dove le due realtà erano abbastanza simili…


Sì in effetti eravamo due società da circa mille persone l’una e, va riconosciuto, con culture diverse. Quella di Origin era tipica di una grande società, con tutti i pro e i contro di questa impostazione, con un processo decisionale più strutturale e impostato sulle deleghe, ma anche più lento. Atos, invece, era una società che con il tempo è andata espandendosi, ma avendo una cultura imprenditoriale, era abituata a una struttura più agile e snella, in quanto i punti decisionali erano pochi e localizzati. Io ho già vissuto in azienda un altro merger, quando Atos ha acquisito la Sesam a Torino, per cui ho imparato che è sbagliato pensare che la nuova nata vada a copiare l’una o l’altra delle realtà coinvolte. Una situazione di merger va, invece, vissuta come l’opportunità per creare una società con una nuova cultura che prenda, se possibile, il meglio di entrambe le parti coinvolte. E questo, direi, è il grosso vantaggio. Lo svantaggio, invece, è che così facendo nessuno all’interno si sente a proprio agio, perché perde i riferimenti, l’abitudine a operare nel modo consueto e non sa ancora come muoversi. Nel nostro caso abbiamo dovuto decidere molte cose e in fretta, perché il nostro capitale sono le persone e rischiavamo di veder aumentare il turnover, sollecitato anche da un problema di skill shortage del mercato It. Questa situazione d’instabilità ha comportato per qualche periodo una perdita di mordente sul mercato, però a partire dall’inizio di marzo abbiamo avuto una significativa inversione di tendenza e dopo aver assunto il nuovo incarico, il mio primo obiettivo è stato quello di ridefinire i ruoli dei manager di primo livello, scegliendo persone che condividessero le strategie e la cultura della nuova realtà. A livello internazionale i risultati sono in linea con le aspettative e, anzi, abbiamo avuto dal mercato significativi consensi che hanno consentito al titolo di registrare, pur con le turbolenze che caratterizzano il momento, una delle migliori performance del settore. Per cui ormai anche all’esterno la sensazione è di una società solida".

In Italia siete rimasti abbastanza liberi nel decidere le strategie da attuare?


Naturalmente abbiamo seguito le direttive del gruppo, ma non abbiamo avuto grossi condizionamenti nella loro attuazione. Per quanto ci riguarda abbiamo cercato di decidere in fretta e lavorare in modo tattico per rimettere in funzione l’attività, ma pensando anche a nuovi sviluppi. Oggi il mercato ci chiede soluzioni con una fortissima trasversalità, come l’outsourcing dell’esistente, la progettazione del nuovo, i servizi, per cui ci troviamo molto spesso in tanti attorno a un tavolo a partecipare alla definizione di un’offerta. Stiamo, quindi, pensando di darci un assetto organizzativo che sia più aderente con questa realtà e soprattutto che sia più orientato a una riorganizzazione per settori di mercato piuttosto che di offerta".

Visto che ormai la parte più difficile del merger è passata, quali sono gli obiettivi che vi date in Italia?


Per quanto riguarda il 2001 direi che da parte del board l’atteggiamento è stato corretto e collaborativo, nel senso che era utopistico imporci di raggiungere il budget stimato alla fine del 2000. Definitivamente archiviato un primo trimestre 2001 non certo brillante, abbiamo cercato di rifare il budget sui restanti nove mesi, ponendoci degli obiettivi realistici, ma non conservativi. Prevediamo, quindi, di raggiungere i 366 miliardi di lire, con l’impegno di riuscire a crescere a due cifre nel 2002".

Origin ha sempre tenuto a precisare di essere una società di consulenza e servizi Ict "super partes" e quindi di non privilegiare un brand rispetto a un altro. Però, in Italia di recente Oracle vi ha premiato come Best Oracle E-business Suite Partner. Come sono, oggi, i vostri rapporti con i vendor di tecnologie?


Sicuramente come system integrator dobbiamo continuare a rimanere super partes perché vogliamo offrire ai nostri clienti le tecnologie migliori. Ma è anche evidente che dal prossimo anno sarà necessaria un’opera di razionalizzazione della nostra offerta, perché non possiamo offrire tutte le tecnologie. Va anche considerato che le partnership tecnologiche debbono essere biunivoche e se noi, pur avendo investito in una soluzione, non otteniamo il supporto atteso dall’azienda fornitrice, preferiamo rivolgere l’impegno a partner più consolidati e che hanno una significativa quota di mercato nel nostro Paese".

Mi sembra che, per ora, non abbiate accordi con società di software italiane. Siete propensi ad aprirvi a realtà nazionali?


In effetti ci stiamo muovendo anche in questa direzione e proprio di recente in ambito Scm abbiamo formalizzato un accordo con Txt e-solutions, una realtà nazionale di respiro europeo. Stiamo anche arrivando a un accordo con una società che opera nell’area dei marketplace, un settore che stiamo potenziando e che verrà seguito dalla nuova direzione Management Consulting Innovation, appena creata, sulla quale stiamo investendo sia come figure professionali che come definizione di modelli di business. Non va dimenticato che molti dei nostri clienti hanno alle spalle un sistema legacy che deve necessariamente aprirsi e quindi va integrato con nuove soluzioni. In quest’ambito, tra le varie soluzioni presenti sul mercato ne abbiamo anche una sviluppata da noi, che si chiama Assi-St, sulla quale stiamo notevolmente investendo e con la quale abbiamo realizzato parecchi validi progetti".

Oggi si sono notevolemente ridotti i tempi di realizzo e implementazione di un progetto It, perché i clienti sembrano aver tutti fretta in quanto il time-to-market è sempre più pressante. È un problema che sentite anche voi?


In effetti il time-to-market oggi più che mai la fa da padrone e se alcuni nostri clienti non sono molto rapidi a decidere, non arrivano per primi a offrire nuovi servizi. Però, quello che stiamo notando è che non si procede più con progetti monolitici, ma con progetti sì grossi, ma articolati, per cui i tempi sono in parte segmentati. In questo contesto, naturalmente, il partner migliore per le società utenti è quello che ha già all’attivo una grande esperienza di progetti, come noi di Atos Origin, e che quindi è facilitato nel raggiungimento, in tempi brevi, della migliore soluzione".

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