Comunicazione e collaborazione alla base del cambiamento

Per traghettare un’azienda verso più alti indici di produttività è necessario informare con chiarezza i dipendenti e coinvolgerli emotivamente nel raggiungimento dei nuovi obiettivi. E il management deve imparare che con l’imposizione non si ottengono validi risultati.

 


La gestione del cambiamento non è un nuovo tema di moda dell’Ict lanciato dagli analisti quanto, piuttosto, una strategia di costruzione che implica creatività, capacità di riflessione e umiltà, perché per attivare un processo di cambiamento al positivo è necessario che le persone coinvolte sappiano non soltanto mettersi in discussione, ma anche farsi aiutare. Affrontiamo il tema con Paola Vezzaro, Europe Hr program director di Xerox.

Qual è, dunque, il segreto di un bravo change manager?


"Ballare tra il pragmatismo operativo e la teoria, per traghettare l’azienda verso maggiori indici di produttività, economizzando sulle risorse ma anche accettando l’errore come elemento di apprendimento".

E lo strumento facilitatore?


"La comunicazione, che da un lato deve trasmettere chiaramente gli obiettivi aziendali e, dall’altro, far emergere tutte le resistenze del personale coinvolto, per poterle discutere e capire, generando nuove forme di dialogo. Gli uomini nelle imprese hanno da sempre dovuto comunicare per integrarsi, per collaborare, per rendere noti gli obiettivi, per impartire istruzioni, per trasmettere informazioni strumentali e disposizioni operative. L’azienda, però, è sempre stata la protagonista che parlava. Oggi serve l’azienda che ascolta, attenta alla voce dei dipendenti così come a quella dei clienti".

Oggi per le aziende, i customer service sono una realtà consolidata nell’elaborazione delle strategie di servizio e di offerta con il mercato, ma otto anni fa le cose erano diverse…


"Portare nel mondo dell’assistenza tecnica la cultura del servizio era un elemento di forte innovazione. Si trattava di portare un cambiamento non solo nell’articolazione dei servizi ma, soprattutto, nella cultura del personale, costituito da tecnici e operatori specializzati che spesso non parlavano nemmeno con il cliente e si limitavano a intervenire sulle macchine secondo protocolli di servizio standardizzati. In un mondo tutto maschile la sfida era davvero pesante: io donna di accademia e loro guru del cacciavite e della tecnologia spesso molto più grandi di me. È stato così che ho imparato la gestione della diversità e a non sentirmi forte per le mie competenze tecniche ma, piuttosto, per la capacità di mettermi in gioco e la consapevolezza dei miei limiti".

Xerox ha costruito un vero e proprio metodo integrato per la conduzione del business. Uno dei punti chiave per questo modello di gestione è l’empowerment. Ci può dire qualcosa di più?


"Nel 1991 la corporate aveva diffuso un documento interno di Empowered work group (Ewg) che sottolineava una rifocalizzazione del concetto di produttività. Si richiedeva la mobilitazione del potere, della creatività e della motivazione del personale al fine di creare valore per i clienti. Empowerment era, dunque, il processo attraverso il quale rendere capaci le persone, a tutti i livelli dell’organizzazione, di far proprie, responsabilmente, le richieste dei clienti, soddisfarle, risolvendone i problemi in un’ottica di miglioramento continuo dei processi di lavoro. L’enfasi era posta sulla discrezionalità, sulla delega, sul potere decisionale dei collaboratori delimitati però da confini ben precisi. Certo è stato necessario preparare l’ambiente: una struttura poco burocratizzata e molto dinamica al punto da richiedere alle persone un atteggiamento piuttosto autonomo. I contro sono dati da un carico maggiore di responsabilità per le persone che non sempre sono disposte ad accettare".

Comunicazione ed empowerment: è questo secondo lei il binomio vincente per un’azienda moderna?


"Certo. Le persone attive hanno bisogno di spiegazioni e di risposte poiché le domande sorgono spontanee. Il silenzio dell’azienda si paga con un aumento della confusione e con persone che, una volta disturbate, non vengono riportate facilmente a uno stato di tranquillità. Oggi la sfida si gioca con le persone, non sulle persone. I lavoratori devono esprimere un’efficacia che si traduce concretamente nella ricerca di approcci creativi per la generazione di valore aggiunto, ovvero di produttività. Dalle macchine possiamo aspettarci solo miglioramenti di tipo incrementale; non a caso si parla di reingegnerizzazione di processi poiché i singoli strumenti che intervengono in un processo hanno fornito il loro massimo e si ricercano altre strade più globali e complesse".

In un mondo in cui regnano incertezza, complessità e cambiamenti continui è richiesta la partecipazione del lavoratore alla ricerca delle soluzioni ai problemi. Quali e quanti sono i margini di scelta dell’uomo in un processo di cambiamento? Come affronta il personale la richiesta di nuova produttività?


"Oggi c’è maggiore richiesta in termini di servizi, processi organizzativi, idee e altri prodotti immateriali. Le domande che il management si deve porre sono più sofisticate. Tra i diversi elementi che bisogna contabilizzare, oltre al fatto che oggi non esistono più regole certe, è che attraverso l’imposizione non si ottiene nulla. L’insicurezza regna e con essa l’esigenza di risorse quali la conoscenza e la capacità di confrontarsi con gli altri per ottenere il consenso ad agire. La conoscenza è stata innalzata al grado di fattore produttivo diretto con un conseguente aumento della sua importanza nei processi aziendali. Tra gli elementi di criticità direi che, mentre le nuove generazioni "attrezzate" di istruzione e cultura tendono a vivere queste sfide come eccitanti, le generazioni che hanno iniziato a lavorare in contesti molto diversi tendono a interpretare il tutto come una pesante condanna. Il tutto si traduce in nuovi climi aziendali, con nuove modalità di gestione, nuove culture organizzative, nuove paure e ansie per tutti i dipendenti, manager in prima fila. L’azienda intesa quale sistema sociale cambia radicalmente e le relazioni tra le persone diventano un fattore che può incrementare o incidere negativamente sulla produttività globale. Le relazioni non devono solo essere "buone", ma anche fluide e ben strutturate. In questa situazione la comunicazione costituisce lo strumento principe di tutti i meccanismi aziendali e sociali. Ogni persona deve sviluppare al meglio il proprio valore in linea con la produttività richiesta e i manager sono i primi a dover cambiare l’approccio e a imparare a comunicare".

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